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Delitto e castigo è un romanzo pubblicato nel 1866 dallo scrittore russo Fëdor Dostoevskij che è considerato, insieme a Tolstoj, uno dei più grandi romanzieri e pensatori di tutti i tempi; insieme a Guerra e pace di Lev Tolstoj, questo libro fa parte dei romanzi russi più famosi ed influenti di tutti i tempi. Esso esprime i punti di vista religiosi ed esistenzialisti di Dostoevskij, con una focalizzazione predominante sul tema del conseguimento della salvezza attraverso la sofferenza.
Lo svolgimento dei fatti è quasi tutto a Pietroburgo, una città fantasma, sfondo infernale di un'umanità disperata, simbolo di un mondo sul ciglio dell'abisso, nel corso di un'afosa estate. Il giovane Raskòlnikov, abbandonati gli studi, decide di uccidere una vecchia usuraia per dimostrare a sé stesso di essere un uomo “eccezionale”, al di là del bene e del male. Rimasto travolto dal proprio atto e tormentato dalla coscienza del fallimento, si consegna spontaneamente alla giustizia, cedendo a quella stessa norma che credeva di poter travalicare. Incentrato su un unico personaggio - l'omicida Raskòlnikov - e concepito da Dostoevskij per “scavare a fondo tutti i problemi” dello spirito umano, il romanzo si popola tuttavia di molteplici figure, ognuna delle quali possiede una propria autonomia e compiutezza.
Delitto e castigo illustra il tema del conseguimento della salvezza attraverso la sofferenza, una caratteristica comune nell'opera di Dostoevskij. Questa è l'idea (del tutto cristiana) che l'atto del soffrire ha un effetto purificatore sullo spirito umano, che gli rende accessibile la salvezza in Dio.
Il romanzo ha il suo evento chiave proprio nel duplice omicidio. Raskol'nikov reputa di essere un “superuomo” e che avrebbe potuto commettere in modo giustificato un'azione. In tutto il libro vi sono esempi di ciò: menziona Napoleone molte volte, pensando che, per tutto il sangue che versava, faceva del bene. Raskol'nikov pensa di poter trascendere questo limite morale uccidendo l'usuraia, guadagnando i suoi soldi, ed usandoli per fare del bene. Il vero castigo di Raskol'nikov non sarà il campo di lavoro a cui è condannato, ma il tormento che sopporta attraverso tutto il romanzo. Questo tormento si manifesta nella suddetta paranoia, come anche nella sua progressiva convinzione di non essere un “superuomo”, poiché non ha saputo essere all'altezza di ciò che ha fatto.
Oltre al destino di Raskol'nikov, il romanzo, con la sua lunga e varia lista di personaggi, tratta di temi comprendenti la carità, la vita familiare, l'ateismo e l'attività rivoluzionaria; decisivi per il protagonista saranno appunto i vari Porfirij Petrovič, il giudice istruttore incaricato di indagare sull'omicidio, la madre Pulcherija Aleksandrovna Raskol'nikova e la sorella Avdot'ja Romanovna Raskol'nikova, Arkadij Ivanovič Svidrigajlov ricco e villano ex-datore di lavoro della sorella, Dmitrij Prokof'evič Vrazumichin, chiamato da tutti Razumichin, è il leale, benevolo ed unico amico di Raskol'nikov, ma il più importante di tutti: Sof'ja Semënovna Marmeladova, che Raskol'nikov incontra in una bettola all'inizio del romanzo, che sarà la causa della sua rinascita spirituale, quando finalmente comprende e accetta di amarla. Sonja, un'anima pura e pervasa di una fede sincera e profonda, costretta però a prostituirsi per mantenere la matrigna tisica e i fratellastri. La giovane offre alla solitudine del nichilismo di Raskol'nikov la speranza e la carità della fede in Dio.
Il libro è sicuramente un capolavoro e null'altro bisognerebbe dire neanche su l'autore. Mi sembra che i quasi 150 anni di letteratura mondiale parlano da soli: pochi sono i romanzi che ancora oggi hanno una tale forza narrativa. Unica domanda che sarebbe lecito sollevare è: cosa diavolo mangiavano questi autori russi dell'ottocento?
Ma io, nell'eterna lotta Tolstojani-Dostojevskijani mi sento di schierarmi con i primi. Una semplice scelta basata su gusti personali: Dostoevskij raccontava personaggi. Era un impareggiabile scavatore di caratteri umani, animi, psicologie, profili, situazioni, quasi un individualista. Tolstoj invece era una narratore, raccontava le storie all'interno della Storia, dinamico e corale, intrecciava personaggi e sfondi facendoli diventare essi stessi storia. Come dire... Era più “epico”. E io lo preferisco.
Credo che prima o poi nessun lettore degno di questo nome possa esimersi di leggere Tolstoj o Dostoevskij, basta aspettare il momento giusto, per godersi queste storie che ancor oggi sono la base della letteratura mondiale.