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È difficile trovare le parole giuste per esprimere la profonda delusione che ho provato leggendo “Ferrovie del Messico” di Gian Marco Griffi. Si tratta, senza ombra di dubbio, di uno dei peggiori libri che abbia mai avuto il dispiacere di sfogliare; purtroppo ne avevo grandi aspettative, viste le recensioni positive che avevo letto e dunque la delusione è stata ancora più grande.
Partiamo da una premessa: io amo molto i libri storici, soprattutto quelli ambientati nella prima o nella seconda guerra mondiale, non faccio distinzioni tra saggi o romanzi, ne ho letti moltissimi e non mi faccio problemi ad amare un saggio, un romanzo fedelmente ricostruito oppure un libro in cui Hitler e la Germania vincono la guerra e si narrano vicende inventate (Fatherland è uno dei miei libri preferiti, per esempio). Dunque con questo dovevo andarci a nozze e invece non è stato affatto così e le ragioni principali sono tre:
1. Mi ha dato fastidio (cosa del tutto personale, ovviamente), in molte parti del libro, l'ironia che si è fatta inventando stralci di conversazioni dei gerarchi nazisti, rendendoli di fatto delle macchiette. Stessa identica ragione per cui non mi è piaciuto affatto “La vita è bella” di Benigni; posso leggere degli orrori della guerra, mi piace chi romanza sulla guerra inventando storie di spie, di eroi, che raccontano di gente comune, di ebrei deportati e uccisi con crudeltà infinita, ma non chi ci fa ironia sopra.
2. Ho letto di questo libro, come di un libro “enciclopedico”, ovvero di un libro che ha dentro tantissimi altri libri e storie e citazioni e nozioni (inventate o meno); confermo, il problema è che a me ha annoiato a morte: le parti del Messico sono insopportabilmente lunghe e prolisse di narrazioni che non mi hanno affascinato per nulla. Altri capitoli si vede proprio che erano racconti a parte (come anche scritto nella postfazione) e inseriti nel libro adattandoli al contesto. Oltretutto uno di questi contiene i due soli personaggi decenti del libro e qui veniamo al terzo punto.
3. Ho odiato il personaggio principale dal principio, lui e il suo stramaledetto mal di dente che lo tormenta per tutto il libro, quanto mi sarebbe piaciuto che avesse vinto il dente alla fine. Un ventenne fascista che si arruola per scappare da una vita che non gli piace e che per tutto il libro chiede aiuto a tutti quelli che conosce per poter portare a termine la sua missione senza praticamente fare nulla, trascinato dagli eventi per interi capitoli, per poi fare l'unica azione decente del libro nel finale e nulla più. Anche gli altri personaggi principali non mi sono piaciuti per nulla, l'unico degno di nota l'amico Firmino (la sua l'unica storia che mi ha emozionato).
Quello che si salva è la descrizione della vita e degli usi dell'Italia sul finire della guerra: i vari rimandi alle canzoni, ai prodotti, alla vita di tutti i giorni e le descrizione dei paesaggi di Asti e dei dintorni. Quello che ancora non si salva è anche tutta la parte di “fantasy” (non mi viene altro modo di definirlo) che coprono alcune parti del libro, che forse non son altro sfoggio di una buona scrittura, ma per me, fine a sé stessa.
In conclusione, “Ferrovie del Messico” è un libro che non solo non mi è piaciuto, ma mi ha infastidito nella lettura: trama confusa e infilata una dentro l'altra, prolissa e noiosa in molte parti, i personaggi principali deboli e irritanti hanno reso questa esperienza di lettura terribile da portare avanti. Tralascio anche il finale, che è meglio. Se cercate un buon libro da leggere, rivolgetevi altrove: per me è stata veramente una delusione totale, forse anche perché partivo da aspettative molto alte.