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Il volo della martora è una raccolta di ventisei racconti dello scrittore, scultore, alpinista friulano Mauro Corona, pubblicato nel 1997, alcuni dei quali però erano già stati pubblicati in date diverse su Il Gazzettino di Pordenone.
Precedentemente, sempre di Corona, avevo letto “La fine del mondo storto” nel 2010, stroncandolo in maniera assoluta e completa. Avevo così deciso di chiudere con quest'autore e andare davanti, ignorando completamente qualsiasi richiamo dagli scaffali di montagna che visito spesso e sono quasi tappa d'obbligo nelle librerie montane. Fatto sta, che essendo appassionato di vette, qualcuno decide di comperarmi i primi libri scritti dall'autore.
Essendo che ero già in montagna, il libricino è corto e in più suddiviso in tanti racconti si adattava benissimo ad una lettura poco impegnativa e saltuaria e così eccomi nella recensione di questo libro che mi ha sorpreso in maniera positiva e non dico di essermi ricreduto su quanto detto in precedenza sull'altro libro, ma mi ha riconfermato la regola che degli stessi autori possono scrivere storie bellissime o storie da dimenticare completamente. Forse questo, essendo il primo, aveva quella freschezza e innocenza che poi è andata persa nei libri successivi.
I personaggi di questo libro sono parenti, amici o semplici conoscenti dell'autore che vengono descritti a volte con sottile ironia, a volte con cruda verità quando la miseria porta le persone a comportamenti molto dubbi. Quello che è certo è che emerge in ogni pagina il profondo rispetto per la montagna intesa nella sua integrità, dal sasso all'albero, dagli animali al povero montanaro costretto a vivere in un paese scomodo, misto al pentimento di chi ha ferito la natura a causa di un'educazione spartana ed insensibile.
Il libro parte dai ricordi d'infanzia di Corona, e segue una strada ben delineata, secondo un filo logico che li concatena, fino al tragico evento del 9 ottobre 1963, la caduta del monte Toc nella diga del Vajont, che provocherà non solo la tragica morte di migliaia di persone, ma anche la perdita di una realtà fatta da anni di vita legati alla terra, alle tradizioni e alla cultura di quelle valli.
L'autore ci fa partecipi del suo mondo e ci comunica con estrema semplicità ma con tanta profondità, dei valori ormai dimenticati, ci ricorda che la vita era dura per tutti, anche per i più piccoli, soggetti a privazioni e angherie, alla conquista del cibo e dei modi (anche i più scorretti) per vivere. Gli inverni freddi, le fate, i pascoli e le interminabili bevute di cui parla l'autore sono echi lontani di universi arcaici spazzati via in pochi decenni dall'arrogante forza della modernità.
Insomma se chi legge si porta dentro nell'anima anche un poco di montagna, questi racconti non possono che far vibrare certe corde che portano ad emozioni dure, ma di un fascino inconfutabile. Consigliato agli amanti della vita semplice ma dura, a chi si abbandona ai ricordi e a chi non può fare a meno di respirare l'aria dei monti.