Istruzioni per evitare la fine del mondo
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Chi sono veramente i manager? Una casta di irresponsabili strapagati o semplici impiegati di lusso, che sacrificano tutto per il lavoro e alla fine del mese aprono la busta paga e fanno di conto? Quali competenze hanno? Sanno tutto di sistemi informativi, ma quanto di comunicazione umana? Tutto di statistica, ma quanto di sociologia? Come si può scegliere tra crescita e sostenibilità, se ogni anno ci si confronta con obiettivi di budget in crescita? Come possono essere recuperati i rapporti umani dentro le aziende? È giusto “vincere” o ci si dovrebbe accontentare di “prosperare”? È più importante l’efficacia delle cose o la loro bellezza? La generazione di manager di oggi, cresciuta ai tempi della rivincita del liberismo, ha ereditato un modello che non funziona più e per questo si interroga sul futuro: qual è davvero il ruolo del profitto, dell’innovazione, il rapporto con le comunità? Serve un vocabolario nuovo. Servono responsabilità, rispetto, coscienza e orientamento al futuro. Le aziende non sono soggetti economici con una responsabilità sociale, ma sono soggetti sociali con una responsabilità economica. Servono visioni, molto coraggio e il tempo per realizzarle. E serve qualcuno che si assuma la responsabilità di guidare. Con umanesimo e un pizzico di leggerezza.
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Libro letto perché viene regalato ai neopromossi manager della mia azienda.
Dal titolo mi aspettavo un libro di self help. Non è così.
Il libro vuole veicolare un messaggio morale, è un racconto di come dovrebbero essere idealmente l'imprenditoria e il management, ispirato soprattutto dall'imprenditoria italiana “illuminata” di Olivetti, Barilla, Pirelli, Cucinelli, tra gli altri.
Viene insomma illustrato il profilo morale che il manager ideale dovrebbe avere, ovvero vicino al territorio, lontano dalla finanza e dalla globalizzazione. E da questo si percepisce anche come il mondo ideale, secondo l'autore, dovrebbe essere. C'è molta retorica, cara in Italia, del “piccolo e locale è bello”.
L'interpretazione dei fenomeni socioeconomici a livello mondiale mi è sembrata debole. Ho letto i soliti attacchi al neoliberismo tipici di un populismo che evidentemente ha attecchito anche tra i manager italiani. Per esempio l'aumento di disuguaglianza raggiunta nel mondo negli ultimi decenni viene interpretato come impoverimento assoluto delle classi più basse.
L'autore esprime il suo un punto di vista, a tratti persino condivisibile. Ci sono anche spunti di riflessione validi.
Mi sono trovato sostanzialmente d'accordo sulla giustificazione delle alte retribuzioni dei manager.
I punti di minimo assoluto sono le lodi sfrenate per Apple, che sforna prodotti “con un design e una funzionalità così semplici che ancora oggi, a distanza di decenni, nessun concorrente ha ancora pareggiato”, e le farine raffinate che fanno male.
Ben scritto, si lascia leggere rapidamente, noioso solo in alcuni passaggi.