La fisica quantistica è la più solida base delle nostre conoscenze. Praticamente tutto ciò che sappiamo sul mondo passa per questa disciplina, e sono tantissime le realizzazioni pratiche che questa scienza ha reso possibili: dal laser ai transistor, dalla risonanza magnetica al telefono cellulare che ognuno di noi ha in tasca. Eppure, per la grande maggioranza delle persone si tratta di una materia totalmente ignota, ritenuta troppo «difficile», «arida» nella sua trattazione matematica, o «astrusa» nei suoi assunti di base. Nel migliore dei casi, un gioco per menti eccentriche, terribilmente complesso, al quale non conviene avvicinarsi, e che comunque nulla ha a che fare con la poesia del mondo. E questo è un vero peccato, perché la fisica quantistica è innanzi tutto «bella», almeno quanto la poesia; e sebbene sia in effetti controintuitiva in maniera sconcertante (come la poesia) e a suo modo complicata, per capirne i segreti non è affatto necessario conoscere la matematica, almeno se a raccontarcela sono il Premio Nobel Leon Lederman e il suo collega Christopher Hill. Il dono della divulgazione di questi due autori, la loro verve stilistica e la loro indubbia competenza, permettono infatti a chiunque legga Fisica quantistica per poeti di capire finalmente a fondo fenomeni reali (eppure in un certo modo fiabeschi), come l’esistenza di particelle che «sanno» dove andare ancor prima di partire o che possono trovarsi in due luoghi contemporaneamente. Un mondo magico e al tempo stesso molto reale, che è appunto quello in cui viviamo.
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