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A tre anni, Giulia è una bambina spigliata, autonoma, sempre con la risposta pronta. Forse anche perché la nonna ha l’abitudine di servirle un caffellatte ogni mattina, salvo poi lamentarsi di quanto sia nervosa. Però, visto che abita a Concordia sulla Secchia, un paesino in provincia di Modena, Giulia è anche una bambina che a tre anni può andarsene in giro da sola sul suo triciclo – l’importante è che non esca mai dai portici – fingendo di fare acquisti nei negozi e cantando Bandiera rossa, come le hanno insegnato gli anziani clienti della pasticceria di famiglia. È con loro che Giulia è cresciuta: nonni, zii, zie, vicini di casa e di bottega, parenti acquisiti, passanti, ragazze, mamme, vecchi e commercianti, tutti personaggi di un microcosmo bizzarro e meraviglioso, memorabile. Dal nonno che ha perso un polmone in una tempesta di sabbia durante la guerra alla zia suora che ipnotizza i topi; dal dottor Francesco, dentista che sa curare tutti i mali, alla libraia Arpalice che non vende libri ma manda i clienti in biblioteca; da Lina, una cliente con la fissa delle zucche, alla zia Tilde, capace di riconoscere le donne incinte dal collo. Un mondo che Giulia descrive con tono allegro e solo in apparenza leggero, perché l’ironia e il brio di chi la circonda sono spesso un modo per esorcizzare la malinconia e la solitudine. Una solitudine a cui ogni personaggio risponde a modo suo: chi confidandosi con la luna, chi cercando presagi felici nei sogni propri e altrui, chi con una battuta, una fuga o una grande abbuffata. Con Mio padre è nato per i piedi Elena Bosi, «la figlia dei portici», crea così l’affresco di una famiglia e di un’intera comunità, un romanzo corale che ci restituisce un mondo sorprendente e poetico che forse sta scomparendo. Mia mamma è convinta che nella data e nell’ora di nascita, e nel modo in cui si svolge il parto, sia già racchiuso il destino della persona. Mio padre è nato per i piedi. Parto podalico, si dice adesso. «Nascono tutti per la testa» dice mia mamma, «lui no, lui doveva nascere per i piedi». «Certo!» risponde mio padre. «A fare come gli altri si fa sempre in tempo». «Ma come ho fatto a sposarlo?» mi chiede mia mamma. «Dimmelo te, come ho fatto?» «Ho letto Mio padre è nato per i piedi mentre Elena Bosi lo scriveva, un capitolo dopo l’altro, e l’ho sentita che mi chiedeva, e si chiedeva, perché lo stava scrivendo, e il modo in cui, alla fine, se ne è accorta, il modo in cui ha trovato questo perché è una cosa che, ancora adesso, è passato un anno e mezzo, mi commuove». Paolo Nori
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