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“Non avvicinarti, non avvicinarti: mi porti il freddo di fuori!”
Oblomov, in originale “Обло́мов” è un romanzo dello scrittore russo Ivan Aleksandrovič Gončarov, pubblicato nel 1859.
La trama del romanzo: Il'ja Il'ič Oblómov è un proprietario terriero, la sua tenuta di trecentocinquanta anime è chiamata Oblómovka e vive senza compiere alcuna attività particolare. Per la gran parte del tempo, giace su un divano o su un letto, circondato da poche persone, tra le quali il suo pigro, riottoso, ma fedele servitore Zachar, senza il quale non riesce neanche ad indossare le scarpe e gli stivali. Vive in una casa di San Pietroburgo, nel disordine e nella trascuratezza. Vive così della rendita che gli è garantita da Oblómovka ed ha pochissimi rapporti umani, tra cui l'adorato amico Andréj Ivanovič Stolz. Proprio quest'ultimo cerca di risvegliarlo dal suo torpore esistenziale e ci riesce, anche se per poco tempo, facendogli conoscere Ol'ga. Nel frattempo, a causa delle macchinazioni di quelli che reputa suoi amici si ritroverà presto schiacciato dai debiti. In seguito vedremo come la sua indole lo porterà a fare scelte particolari e insensate, e di come l'oblomovismo lo accompagnerà per sempre.
A proposito di Oblomov, Giorgio Manganelli scriveva: «Fortunatamente, è uno di quei libri che non è lecito recensire; o lo conoscete, e vi ha sedotto, e un recensore non può dirvi nulla; o non lo conoscete, e allora, per favore, non perdete altro tempo con queste fatue righe, ed andate a leggerlo». Non posso che concordare, è un libro molto complesso e difficile da recensire, ma ci proverò molto velocemente e senza tediarvi troppo.
I narratori russi non mi deludono mai: sono creatori di mondi e ogni volta che ne leggo uno non posso fare a meno di domandarmi che diavolo mangiassero in Russia nell'ottocento per sfornare romanzi come questi. Oblomov è un personaggio indimenticabile: è un uomo vinto, che si rovina da solo, conducendo un'esistenza vergognosa, ma da cui non vuole sottrarsi, se ne sta tutto il giorno senza far nulla, sdraiato su un divano e dorme, o ricorda l'infanzia vissuta nell'idillica tenuta paterna. Ma non è solo questo, lui è anche un puro di cuore, la cui anima cristallina non può sopportare di immischiarsi, intorbidarsi e mescolarsi alla vita comune che è fatta di lavoro, passioni, letture, viaggi e conoscenze.
Io ho visto Oblomov come un bambino: un'anima infantile, che non riesce ad opporsi alla malvagità del mondo dei grandi e si lascia vincere dalla vita allontanandosi da essa, disinteressandosene ed eclissandosi rifugiandosi come un eremita nella sua casa dove vive nella nostalgia di un paradiso perduto, l'infanzia, di cui resta solo il ricordo.
Lo stile di scrittura è piacevolmente ironico e scorrevole ed è attuale, questo romanzo lo si legge come se non fosse stato scritto più di centocinquanta anni fa; ovviamente tutto questo lo si può leggere anche in chiave critica rispetto alla società di allora (forse anche di quella attuale?) dove non cambia nulla, impantanati nell'oblomovismo così come se nulla fosse. E potremmo leggere questo romanzo anche sotto la lente della paura di vivere così attuale oggi, perchè forse Oblomov, in fondo, non è un depresso?
Ho trovato straordinarie la prima e l'ultima parte del libro, ho faticato un poco in alcune parti centrali per via delle lunghe descrizioni amorose dei protagonisti, ma ho voluto bene ad Oblomov e anche un poco a Zachar se devo dire la verità e anche se in fondo ognuno di noi è un po' Oblomov, dopo questa lettura lo sono un po' di più.
- Dormivo...- Perché mai?- Per non rendermi conto dello scorrere del tempo.
E il ramo di lillà, aspetta lì, di essere colto.
Ognuno di noi ha rami di lillà da cogliere. Da gettare e fare appassire o da rendere forti, belli e vigorosi.