Una solitudine troppo rumorosa, in originale “Příliš hlučná samota” è un romanzo dello scrittore ceco Bohumil Hrabal, pubblicato in origine nel 1977 e nel 1987 per la casa editrice Einaudi.
La trama del libro: Hant'a lavora da trentacinque anni a una pressa compattatrice di carta. Svolgendo il suo lavoro, ogni tanto raccoglie libri scartati e pronti per essere distrutti e li accumula nella propria abitazione. Hant'a diventa così “istruito contro la sua volontà”: conosce e impara i pensieri di Hegel, Nietzsche, Kant e di altri scrittori importanti. Hant'a vive in un continuo stato di ubriachezza, dovuto alle numerose birre che beve durante il lavoro. L'apertura di una nuova pressa, tecnologicamente più avanzata, provoca a Hant'a una sorta di estraniamento e di malessere che lo porterà a tragiche conseguenze.
Due cose principalmente mi hanno colpito di questo libro: le merde e la birra. L'autore doveva avere un rapporto particolare con le deiezioni umane, visto che in molti passaggi vari personaggi la pestano, ci mettono i capelli dentro, la fanno sugli sci. E che la birra a Praga deve essere, o deve essere stata davvero eccellente, sia i personaggi (che l'autore stesso, come si evince dalla sua storia) ne fanno uso a litri.
Un libro che parla di libri e dunque ambito e glorificato da chi ama i libri, ma vorrei veramente sapere quanti effettivamente hanno compreso questo libro, ne hanno sondato veramente momenti storici e profondità. In ogni caso, per quanto mi riguarda, più m'inoltravo nella lettura e nella testa di Hanta più mi dicevo che il tutto è troppo rumore per poco; un libro sopravvalutato, suggestivo, che si scontra decisamente con una scrittura che è un muro di mattoni e cemento che ti si butta addosso, vanificando l'originalità del personaggio che a parer mio meritava uno svolgimento migliore.
Un libro che vuole essere kafkiano, ma che non è Kafka, neanche lontanamente. Una lettura faticosa, ma che porta fastidio invece che godimento.
La storia è breve e il libro è infarcito, per giustificarne il prezzo, da prefazione, postfazione ed intervista all'autore. E' lui a spiegare che quella appena letta è la terza e definitiva stesura dell'opera, concepita inizialmente come componimento poetico e così probabilmente doveva restare.
Unica citazione che mi trova d'accordo e degna di nota: “Siamo come olive, soltanto quando veniamo schiacciati esprimiamo il meglio di noi”