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Le intermittenze della morte è un romanzo di José Saramago, che è stato uno scrittore, giornalista, drammaturgo, poeta e critico letterario portoghese, premio Nobel per la letteratura nel 1998, scritto a Lisbona nel 2005.
La scrittura di Saramago è veramente particolare: tende a scrivere frasi molto lunghe, usando la punteggiatura in un modo anticonvenzionale. Ad esempio, non usa le virgolette per delimitare i dialoghi, non segna le domande col punto interrogativo; i periodi possono essere lunghi anche più di una pagina e interrotti solo da virgole dove la maggior parte degli scrittori userebbe dei punti. Questo all'inizio, e per chi entra per la prima volta in contatto con l'autore, rende la lettura un po' difficile, ma ben presto ci si abitua.
Come l'altro libro che ho letto “Cecità” e molti altri la storia iniziano con un avvenimento inaspettato, surreale o impossibile, che si verifica in un luogo imprecisato. Non ci si deve domandare come sia potuto accadere: è successo, punto e basta. Da questo avvenimento scaturisce poi una storia complessa, occasione per studiare le mille forme del comportamento e del pensiero umano. I protagonisti (spesso senza nomi propri) devono cercare con le loro sole forze di uscire dalla situazione che si è venuta a creare.
In questa storia in un paese senza nome, allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre nessuno muore più. All'inizio la gioia è grande, ma ben presto molti problemi cominceranno ad affiorare in un paese dove nessuno più muore: chi sulla morte faceva affari per esempio perde la sua fonte di reddito; la chiesa, ora che non c'è più lo spauracchio della morte e non serve più nessuna resurrezione sarà in discussione. Dopo sette mesi però la morte annuncia che sta per riprendere il suo usuale lavoro, affidando però a delle lettere consegnate per posta, una settimana prima dello sfortunato evento, l'annunciazione della futura dipartita ai diretti interessati.
Anche qui è frequente l'uso dell'ironia: ai personaggi non vengono risparmiate critiche per i loro comportamenti, spesso discutibili, ma profondamente umani. La lettura non è semplice anche se non siamo davanti ad una riflessione sul senso della vita o quello della morte, ma semplicemente uno studio dell'animo umano, delle dinamiche sociali, una critica alla società. Siamo di fronte ad una storia intelligente, piacevole, audace e barocca e sebbene la parte centrale sia la più ostica, il finale merita molto.
L'unico peccato è aver letto prima di questo “Cecità” e dunque non potere affibbiare a questo le cinque stellette, perché questo per me è un gradino sotto al primo.