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Divorare il cielo è un romanzo potente e generoso, che restituisce al lettore l'antica meraviglia di una grande storia in cui perdersi.
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I protagonisti di questo romanzo mi hanno fatto pensare ad un arcipelago di quattro isole, vicinissime ma allo stesso tempo irrimediabilmente divise. Ponti di collegamento stabili e sicuri non ce ne sono, ognuno rimane inaccessibile agli altri almeno in parte. Il problema di fondo è l'incomunicabilità: ad un confronto aperto e schietto si preferiscono i segreti; della stessa storia esistono innumerevoli versioni, tutte autentiche ma incomplete. Tuttavia, durante quella prima estate trascorsa insieme i fili di queste quattro vite si ingarbugliano in un modo tale che diventa impossibile districarli; quando uno esce dalla trama ecco che gli altri lo tirano dentro di nuovo. A fare da collante sono sempre quei segreti che alternativamente dividono alcuni e uniscono altri, ma c'è anche l'amore per la terra su cui sorge la masseria, un luogo incantato e sospeso nel tempo che catalizza l'esistenza dei ragazzi. Mi sembra di conoscerla, di esserci stata, di aver vissuto lì dentro con Teresa, Bern, Tommaso e Nicola. Mi pare di aver visto i tramonti e le notti stellate, di aver udito il vento soffiare sul canneto e tra i rami del leccio.
Non ve lo spiegare: non ho mai visto Speziale eppure mi manca dall'istante in cui ho girato l'ultima pagina.