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Mi aspettavo qualcosa di bello, ma non di così bello. “Il complotto contro l'America” di Philip Roth è stato il mio primo romanzo dell'autore, e credo anche il primo di molti a venire.
Per me un capolavoro inaspettato, un'ucronia incredibilmente realistica in cui si immagina l'America fuori dalla seconda guerra mondiale e con un filonazista come Presidente.
Trovo straordinario il modo in cui l'autore abbia caratterizzato così bene i personaggi e i rapporti che li legano fra di essi. Ha un'immensa maestria nell'essere crudo nella descrizione di tutto quello che pensano, a partire dal protagonista, che in maniera autobiografica prende il suo nome (Philip Roth, appunto), ma secondo me non solo quello.
C'è tanto da apprezzare in questo libro: l'atmosfera cupa di questo quartiere ebreo di Newark che Roth dipinge con una precisione incredibile, il modo in cui ancora l'autore è bravo a collegare e descrivere fatti storici creando delle connessioni perfette fra le vicende familiari e quelle degli USA.
La lezione più grande che, a mio parere, Roth vuole darci con questo romanzo è semplice, ma sempre importante: nessun paese, neanche quello più libero a questo mondo, è completamente salvo dal giogo dell'antisemitismo, del razzismo, dell'odio verso il diverso, il più debole, del sospetto nei confronti della minoranza.