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Kafka, un maestro indiscusso della narrativa, o meglio della letteratura del novecento. Credo che non ci si possa annoverare tra le schiere dei lettori se non si è letto almeno un libro di questo autore così tormentato e nichilista.
La storia sembra irrevocabilmente un incubo, dove il protagonista si muove con ansia e disperazione crescente, verso una schiacciante verità: l'uomo è solo e in balia del destino, che lo troverà sempre per portarlo verso una tragedia di portata cosmica.
Libro che ha molte chiavi di lettura è claustrofobico, asfittico, angosciante: il protagonista e gli altri attori sono spersonalizzati, appena citati, foschi e criptici, dello stesso personaggio principale non conosciamo neanche il cognome, tutti elementi che confondono il lettore per non dare nessun punto di riferimento come l'attore stesso di questa tragedia, accusato e poi condannato per una colpa di cui non gli è dato conoscere il perchè, ma che non è nota neppure al “tribunale” stesso.
Sembra sempre di brancolare nel buio, l'aria è soffocante, calda e stantia, opprimente fino al finale dove sarà tersa e beffarda, come gli antagonisti che sembrano quasi diabolici che si passano il testimone velocemente per trascinare sempre più a fondo l'uomo verso il suo baratro personale e angosciante.
La colpa e il giudizio davanti al quale nessun uomo può sottrarsi: Kafka parte crea l'assurdo partendo da semplici elementi di vita comune; ancora una volta come nella “Metamorfosi”, vediamo la mostruosità che si cela nella quotidianità e nella così detta normalità
Leggere questo romanzo è un'esperienza unica e irripetibile che lascia storditi davanti all'ineluttabilità dell'uomo davanti al proprio destino e delle proprie colpe per infine morire come un cane!.
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