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Norwegian Wood, “Noruwei no mori”, è un romanzo di Haruki Murakami del 1987 espressamente basato sul racconto “Hotaru” (La lucciola) di cinque anni prima. Scrisse questo libro come una sorta di “materasso”, per staccare la spina tra la fine di un libro molto impegnato e l'inizio di un altro altrettanto onirico e difficile. Doveva essere un libro sentimentale leggero, di poco meno di trecento pagine.
Murakami definisce questo un romanzo d'amore «molto personale» e lo dedica ai suoi amici «che sono morti e a quelli che restano». In Italia il romanzo è stato pubblicato nel 1993 da Feltrinelli con il titolo di Tokyo Blues. Nel 2006 Einaudi ha curato questa nuova edizione, con l'introduzione del bravissimo Giorgio Amitrano e di Murakami stesso.
Parto subito col dire: “è bellissimo”. Punto. Mi verrebbe da scrivere anche “leggetelo, assolutamente” e vorrei finire qui, ma vedrò di essere un poco più esplicito. E' molto diverso dagli altri Murakami da me letti fino adesso e sebbene i romanzi sentimentali non siano solitamente le mie letture preferite, questo è così bello, che tocca corde che vibrano, se suonate come solo l'autore riesce, a tutti.
E' una lettura molto soffusa, triste, malinconica, struggente, dai confini indistinti, che rimane incredibilmente irrisolto. Intriso di dolore, di nostalgia, di rimpianto ma allo stesso tempo dona speranza, verità anche nella morte. E' molto delicato come il tè, e molto ipnotico come le canzoni suonate alla chitarra armonica.
E' un libro che alla fine tratta di suicidio e di malattie mentali, è di una tristezza angosciante e oscilla continuamente tra fragilità e forza. Così, a farlo bollire per ore, rimane questo sedimento, che scritto così spaventa e invece ala fine è un bel libro, e Murakami è un genio, nel descrivere sensazioni applicate a qualsiasi cosa lui descriva. E non è neanche che puoi credere veramente che qualcuno possa vivere la vita di questi tre personaggi, ma questo è un libro e dunque alla fine chi se ne frega, lo leggi e lo ami e basta.
Watanabe ha 37 anni ed atterrando ad Amburgo sente diffondersi dagli altoparlanti “Norwegian Wood” dei Beatles, una versione edulcorata ma che lui riconosce subito; questo lo fa sprofondare nella sua adolescenza: a Naoko, Midori, Kizuki, Reiko e tutte quelle altre persone e tutti i luoghi e i tempi: la sua vita di studente in collegio, l'occupazione dell'università negli anni sessanta. E'che scritto così non rende molto, ma in questo racconto il lettore si smarrisce seguendo i dubbi, le esitazioni, lo stordimento e le scelte dei giovani protagonisti nell'affrontare quell'arduo passaggio tra l'adolescenza e l'età adulta. Un percorso in musica e in immagini vivide, circondate dell'indissolubile legame tra la vita e la morte.
Una delle forze di questo libro è che si sedimenta pian piano, stratificandosi dentro al lettore. Dopo averlo letto continua a ritornare, come un refrain che non ti si toglie dalla testa. Mentre all'inizio la storia non mi aveva preso molto, dopo aver letto le prime cento pagine circa, non ho saputo più fermarmi e mi sono letto di un fiato tutte le altre. Queste sono le storie migliori.
Le fragilità dei personaggi, il Giappone stesso, vengono presentati come in un canto melodico, struggente, di una bellezza vissuta e sfuggita per sempre.
Lo dico per pochi libri, ma questo è meraviglioso.