Sta per arrivare il nuovo secolo e in Georgia, come nelle altre repubbliche sovietiche, si levano rabbiose le voci che invocano l’indipendenza. In un periodo di grandi disordini, che per il piccolo stato culmina nel caos assoluto, quattro ragazze crescono in uno dei tanti cortili del quartiere più vivace di Tbilisi. L’universo della loro infanzia è fatto di bucato svolazzante, altalene arrugginite, un albero di melograno. Vivono in case dalle pareti umide con i balconi di legno intagliato, mangiano gelato alla crema e respirano l’aroma del grano saraceno, delle caramelle alle bacche di crespino e della gassosa al dragoncello. Le loro famiglie appartengono a ceti diversi, ma niente sembra scalfire la loro amicizia: né il primo amore tenuto segreto, né gli scontri sanguinosi per le strade o la guerra al confine, né la corruzione e la violenza che divorano il paese, e neppure il razionamento del cibo o la continua mancanza di corrente. Qeto, Dina, Nene e Ira sono sulla soglia della vita, all’inizio di un legame che – ancora non lo sanno – da loro pretenderà tantissimo. Sono e resteranno inseparabili, fino a quando un tradimento non le avvolgerà in un’ombra cupa. Vent’anni dopo, ormai adulte, in tre si ritrovano a Bruxelles in occasione della retrospettiva fotografica di una di loro. Immagine dopo immagine, in quel mondo in bianco e nero le tre sopravvissute ripercorrono un tempo che non c’è più, una storia privata che è anche la storia della rivoluzione seguita al crollo dell’Unione Sovietica. E allora, all’improvviso, un raggio di luce squarcerà il velo steso sui ricordi, e il perdono sembrerà di nuovo possibile.
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