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Credo che in ognuno di noi sia presente un (sano) lato voyeristico. Studiare psicologia ha, forse, esacerbato questa mia piccola mania, ma la verità è che ho sempre trovato divertente, interessante e istruttivo osservare le persone: vedere come si comportano, ascoltare ciò che dicono, provare ad indovinare i pensieri che si agitano dietro gli occhi di ognuno. Mi rivedo seduta in un vagone della metro o ferma ad una pensilina dell'autobus mentre mi domando: “Chissà dove sta andando?”, “Con chi starà parlando al telefono?”, “Perché ha un'espressione così triste? Cosa gli sarà successo?”.
Grand Hotel di Vicki Baum stuzzica proprio questo lato qui.
Immaginate di rimanere seduti nella hall per qualche giorno e non far altro che guardare il via vai di gente che entra ed esce dall'albergo; all'inizio non sapete niente di nessuno, ma dopo un po' riconoscete le facce, le associate ad un nome sentito per caso, imparate orari e abitudini dei soggetti più curiosi, notate con chi trascorrono la maggior parte del tempo o con chi intrecciano nuove relazioni e, soprattutto, iniziate a fare ipotesi su ipotesi.
Vi dirò di più: questi pensieri dicono di noi molto più di quanto effettivamente ci informino sull'Altro e un'autoanalisi su ciò che affolla il nostro cervello in momenti del genere è in assoluto la parte più interessante di tutto il processo (l'ho già detto che studiare psicologia mi ha definitivamente traviato?).
Sarà anche vero, dunque, che da un albergo si esce soli così come si è entrati - stando alla frase del libro che ho riportato all'inizio; tuttavia, quando si fa fatica ad incontrare “un Tu che si lasci cogliere o trattenere”, si può sempre provare con il proprio Io.