È un giorno di pioggia dell’anno 30 della nostra era a Gerusalemme. Nicodemo, un uomo di quarant’anni con una barba grigia che gli divora le guance, e Giuseppe di Arimatea, un cinquantenne un po’ curvo con la pancia, consigliere personale di Caifa, il capo del Sinedrio, la suprema istituzione ebraica, sono saliti fin sul Monte del Teschio con addosso l’ingombrante abito sacerdotale. Aiutati da alcuni amici, con le tenaglie e una scala, i due staccano dalla croce un uomo, lo lavano, ungono il suo corpo di aromi, lo avvolgono in un lenzuolo e lo depongono nella tomba di proprietà di Giuseppe. L’uomo è nato sotto il regno di Augusto, a metà del mese di nisan, pochi giorni prima della Pasqua. Il suo nome è Yeshua, che significa «Yahvè aiuta», e viene dalla bassa Galilea, da un piccolo, insignificante villaggio chiamato Nazaret. Il Sinedrio ha strappato al prefetto romano Pilato una sentenza di morte per lui, eseguita attraverso il supplizio della croce, perché l’uomo diceva di essere un Maestro inviato da Dio, capace addirittura di compiere miracoli in Suo nome. Sfidando tutti i precetti dello shabbat, Nicodemo e Giuseppe si sono recati fin sul Monte del Teschio non per un gesto di umana pietà, ma per mettere in atto il piano concepito insieme con Caifa e Chanan, il Gran sacerdote caduto in disgrazia dopo l’ascesa di Tiberio alla porpora imperiale: deporre in una tomba e poi far sparire il corpo di Yeshua, di modo che i suoi seguaci si convincano che sia resuscitato e sia, perciò, davvero il Mashiach, il Messia profetizzato da Isaia e Geremia, la promessa incarnata fatta a Davide, il liberatore di Israele dalla tirannia romana. Quello che Giuseppe di Arimatea e Nicodemo non sanno, tuttavia, è che Yeshua è vivo, agonizzante per l’orrendo supplizio cui è stato sottoposto, ma vivo. Così comincia questo straordinario romanzo in cui, braccato dagli uomini di Pilato, giudicato troppo pericoloso dai sacerdoti del Sinedrio, dal fondo di una prigione della Giudea, Gesù, guarito, narra la sua vita, scrive il suo vangelo. Opera stupefacente per credibilità ed erudizione, Io, Gesù è il racconto di un altro destino possibile del Cristo che non ha nulla di blasfemo. Oltre a essere, infatti, una formidabile ricostruzione storica di un’epoca traboccante di profezie, il romanzo è anche una sentita e convinta celebrazione della verità umana e storica e della verità divina dell’avventura del Cristo. Scampato al supplizio della croce, braccato dagli uomini di Pilato, giudicato troppo pericoloso dai sacerdoti del Tempio, dal fondo di una prigione della Giudea, Gesù, guarito, narra la sua vita. «Il figlio di Gesù potrebbe essere sopravvissuto alle ferite e tenuto prigioniero dai sacerdoti del sinedrio». Il Giornale di Vicenza «Una biografia che non altera il racconto evangelico ma pone inquietanti quesiti». L'Arena «In una sorta di ricostruzione fantastorica, incontriamo la figura di personaggio scampato al supplizio della croce, braccato dagli uomini di Pilato, giudicato troppo pericoloso dai sacerdoti del Tempio che decide di scrivere e narrare la sua vita». Raffaele Polo, Quotidiano di Puglia «Lo scrittore ci presenta il ritratto accuratissimo della società in cui Gesù ha vissuto cercando di scoprirne la verità umana e divina». la Provincia di Como «Vibrante di spiritualità, impregnato di umanità e attraversato da accenti profetici, questo romanzo sottile e potente sul destino possibile di un uomo eccezionale trasporta gli odori, i colori e i suoni della Palestina del primo secolo e ridà vita ai gesti, alle paure e alle speranze degli ebrei sotto la dominazione romana». Le Point «Sinoué, figlio di un’ebrea greco-franco-egiziana e di un egiziano di fede cristiana, ha scritto un’opera romanzesca, ma che si nutre profondamente dei Vangeli, un racconto verosimile, pieno di suspense». L’Express
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