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La freccia gialla, in originale “Želtaja strela, Gosťna prazdnike Bon, Zapiš' o poiske vetra” è una raccolata di racconti dello scrittore russo Viktor Olegovič Pelevin, appassionato di filosofie orientali e di meditazione zen, appartiene alla tradizione di scrittori russi che va da Gogol' a Bulgakov, nelle cui opere l'elemento fantastico gioca un ruolo preponderante.
L'opera è composta da un breve romanzo e da due brevissimi racconti. Comincio subito dagli ultimi due: noiosi all'inverosimile, infarciti di filosofia zen, una dissertazione sulla bellezza il primo, una incomprensibile lettera immaginaria dello Studente di Ordinamento del Caos al Signor Gusto della Saggezza... ho scritto tutto.
Passiamo al racconto che da il titolo al libro: in sintesi è una storia surreale basata su una metafora del socialismo sovietico: un treno in corsa verso un ponte distrutto in cui i passeggeri, non si rendono neanche conto di essere in viaggio su un treno. Il tutto controllato da dei controllori che si occupano dei passeggeri in questo viaggio perenne. Andrej, il protagonista, comincerà a porsi domande sul treno finché il Khan, coprotagonista della storia, non prenderà ad ossessionarlo con i suoi interrogativi: di tutto il treno, sembra l'unico incapace di adattarsi al quieto ronzio subliminale della vita sul treno. E via di questo passo fino al finale che il lettore potrà interpretare a suo piacimento o indole.
Non bisogna essere un maestro zen per arrivare a capire che la freccia gialla, (treno senza fine, senza stazioni, senza meta apparente e destinato a interrompere la sua corsa in un ponte crollato) ben si presta ad essere interpretato come metafora della vita. E qui, sul senso della vita, si può stare a parlare per millenni, giungendo a tutti i risultati possibili e incongruenti tra loro.
Idea brillante, anche se non del tutto originale, sviluppo mediocre, con i due racconti aggiunti per farne un libro che appesantiscono enormemente la lettura andando a peggiorare la sensazione di pesantezza del primo.