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La notte eterna del coniglio è un romanzo del 2003, pubblicato da Marsilio, dall'italiano Giacomo Gardumi, che a quando si scrive questa recensione a dieci anni di distanza dal simpatico coniglio, ha all'attivo solo un altro romanzo: per gloria di Dio, aggiungo io; no, non ho neanche guardato la trama dell'altro, non sono masochista.
La delusione è devastante, totale, annichilente, su tutti i fronti nonostante le buone premesse: un'apocalisse atomica e quattro bunker collegati tra loro via video e con all'interno quattro nuclei familiari alle prese con la vita da sopravvissuti. Il tutto si complica quando alla paranoia della claustrofobia e le difficoltà di affrontare una vita che non esiste più, sbucherà d'improvviso un serial killer vestito da coniglio rosa.
In questo romanzo non funziona praticamente nulla a partire dalla narrazione in prima persona, verbosa e introspettiva... di un personaggio femminile che è anche la voce narrante di cui non è dato sapere quasi nulla e che sembra l'autore stesso, lontano anni luce da qualsiasi buon personaggio femminile e risulta praticamente odiosa dal primo momento in cui si palesa. Gli altri personaggi sono solo abbozzati, stereotipati e noiosi. L'ambiente, che dovrebbe essere claustrofobico, lo è per il lettore che si domanda con vero terrore (l'unico del libro) quante pagine mancano alla fine, la tensione del luogo confinato che dovrebbe inasprire le personalità dei personaggi li rende invece ancor più buffi ed insulsi (la zia con la “evve” moscia è un oltraggio alla scrittura). E i dialoghi sono scadenti che più scadenti non si può: legnosi e innaturali.
Se a tutto questo aggiungiamo pagine e pagine di discorsi, spiegazioni e deliri raggiungiamo vette di noia che Messner aggiungerebbe volentieri ai suoi personali 8,000 da scalare. Ma purtroppo il vero colpo di grazia è la spiegazione finale della protagonista sul come e perché i fatti si sono svolti, evidentemente l'autore giudicava i suoi lettori non sufficientemente “svegli” (forse perché addormentati dal suo scritto) per capire come si era svolto il tutto. Un noiosissimo “Epilogo” e poi ancor più l'inutile “Conclusione” quando il lettore da tempo sta già pensando a cosa leggere per farsi passare il mal di stomaco da quest'orridume.
Lungo, noioso, assurdo, banale.