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Dopo un anno e mezzo sono approdata all'ultimo capitolo de La trilogia dei colori e l'ho terminata. Ho sperimentato la candida purezza di Neve, l'ombrosa passionalità de Il violino nero e infine la lucente speranza de L'apicoltore.
Le tre storie sono slegate una dall'altra, eppure i tre protagonisti si somigliano. Sono inquieti, hanno un chiodo fisso in testa ma non sanno come realizzare se stessi e il proprio destino. Si mettono in viaggio senza ben sapere cosa cercano, con gli occhi accecati da un unico colore: bianco, nero, oro. Devono ancora capire che la vita non è monocromia ma arcobaleno, che i sogni sono più belli se dipinti mescolando tra loro tutti i colori della tavolozza. Solo così può nascere la magia, e non perché viaggiando si conoscano posti diversi o altre persone ma perché si torna al punto di partenza con occhi nuovi, in grado di vedere (non solo guardare) ciò che è sempre stato lì ad aspettare.