La storia di Anila e di altri bambini che cercano il loro futuro fra noi
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Quando Pietro Bartolo, medico di Lampedusa, vide Anila per la prima volta rimase di sasso. Quella bambina non avrà avuto più di dieci anni. Che cosa ci faceva una creatura così piccola, da sola, in una nave piena di naufraghi disperati? Di solito, ragionò, i bambini di quell'età arrivano qui in Italia accompagnati dai genitori, o da un amico di famiglia o da qualche altro adulto conosciuto lungo il viaggio. Allo stupore di quel primo istante seguì una certezza: l'arrivo a Lampedusa per Anila non era la fine di un lungo viaggio ma solo una tappa intermedia, un nuovo punto di partenza verso il suo vero obiettivo, trovare la mamma «da qualche parte in Europa» e salvarla. Da tutto. Dalla prostituzione, dal vudù africano che la teneva in scacco, dalla non meno malefica burocrazia occidentale, ma soprattutto dai suoi stessi sensi di colpa. Pietro Bartolo accetta di accompagnare Anila lungo questo suo nuovo percorso. E, attraverso i suoi occhi neri e profondissimi, si proietta dentro l'interminabile incubo dei tanti migranti bambini che negli anni sono arrivati - da soli - sulle coste italiane: la miseria di Agades, la traversata del deserto, gli orrori delle carceri libiche, il terrore del naufragio nelle acque gelide di un Mediterraneo invernale e ostile. A metà strada esatta tra un romanzo di formazione e un documentario, queste pagine ci permettono di toccare con mano, di scoprire in prima persona che cosa c'è davvero dall'altra parte dell'«allarme immigrazione», quello che troviamo rilanciato negli slogan più beceri di questo medioevo permanente in cui la politica ci ha catapultati. Un libro per capire l'importanza di essere testimoni. Perché, alla fine, l'unico pericolo che corre davvero la nostra civiltà davanti al tumultuoso flusso migratorio di quest'epoca è quello dell'incomprensione e della stupidità.
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E' da un po' di tempo che volevo leggere questo libro, avendo sentito parlare l'autore in alcune trasmissioni televisive dove ha portato la sua testimonianza come medico di Lampedusa, volevo approfondire la sua conoscenza grazie ad uno dei suoi libri. Ho approfittato delle sensazioni e del mio stato d'animo dopo aver letto il libro della Segre in occasione della giornata della memoria per le vittime dell'olocausto. Sono argomenti sempre difficili da affrontare e visto che mi ero già calato nello spirito “mi fa schifo essere umano, preferirei essere un animale”, ho deciso di aggiungere dolore al dolore.
Il libro dopo aver aperto con una piccola digressione sul lavoro dell'autore e sulla vita passata dello stesso, come unico medico del poliambulatorio di Lampedusa, definito dallo stesso come l'ultima sentina del mediterraneo che raccoglie le vite per lo più spezzate dei migranti (sebbene al Dott. Bartolo questa parola non piace perché tende a uniformare ed estraniare quelle che in fondo sono vite umane), si focalizza sulla storia di Anila, questa bambina di nove anni che parte dal Niger per cercare la sua mamma a sua volta partita prima di lei, forse sarebbe meglio dire cacciata, per motivi religiosi.
Che una bambina di nove anni debba mettersi in cammino a piedi, attraversando il deserto, soffrendo la fame e la sete fino arrivare ad inginocchiarsi e leccare quanto fuoriuscito da un cadavere sulla strada per placare l'arsura e poi arrivando in Libia dove viene detenuta, abusata e costretta a subire e vedere altri mille dolori e sofferenze per poi imbarcarsi su un gommone per venire in Europa a fare una ricerca impossibile (Anita non sa neanche che cosa sia l'Europa) è di per sè un ammissione del fallimento del genere umano in quanto tale; a questo aggiungiamoci tranquillamente l'ignoranza dei più e il fatto di come la nostra percezione di questa “invasione” sia amplificata da chi fa propaganda (in Italia gli immigrati sono solo il 7% della popolazione totale).
Questo libro è una testimonianza di come stanno veramente le cose, è una riflessione di come parlando di immigrati non ci rendiamo spesso conto che stiamo parlando di bambini come Anila, privati della loro innocenza quando va bene se non della loro vita nei casi peggiori, carichi sulle loro spalle di dolori indicibili, di devastazioni corporali e psicologiche. Mi domando quanti di noi avrebbero il coraggio di affrontare quello che ha affrontato questa bambina per cercare la sua mamma, ma ancor più mi domando con che coraggio vanno a letto chi prima ha ignorato totalmente o addirittura affamato un paese intero e poi parla di quote di distribuzione di persone umane come se fossero merci di consumo.
Dovremmo vergognarci tutti.