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“Pentema ed altri racconti” è una raccolta di scritti di un comunicatore di professione, Riccardo Parigi. I comunicatori sono quegli strani uomini che ti fanno capire come le incomprensioni che vengono dal linguaggio (o dalla mancanza delle chiavi corrette per decriptarlo) stanno alla base degli scontri di tutti i giorni e cercano di aiutarti a non farlo più accadere. Sono gli azzeccagarbugli della lingua. In questo frangente però è prestato alla scrittura e ha pubblicato questo libro nel 2011, dove racchiude la sua produzione ventennale, come esplicitato nella quarta di copertina. Nello specifico il volume racchiude un racconto lungo, “Pentema” e altri sette racconti brevi.
Mi viene un po' difficile fare questa recensione, innanzitutto perché per la prima volta recensisco un libro di un autore che conosco personalmente e che ammiro, tralasciando quelli incontrati nelle occasioni di presentazioni o manifestazioni letterarie e poi perché il libro è stato un regalo, autografato, da parte dell'autore stesso. Cercherò, come sempre, di essere imparziale nella mia valutazione.
Pentema è il racconto che apre il libro ed è anche quello più lungo, probabilmente il più maturo, il più pensato, quello che fa da colonna portante a tutto il resto e che ha richiesto più lavoro post-scrittura. Diciamo subito che si nota che l'autore non scrive di professione, non ne ha tutte le malizie e sembra scrivere più per se stesso che per gli altri. Infatti il tutto sembra essere un profilarsi di micro racconti, ricordi dello stesso, ambientato nelle terre d'origine dell'autore. Gli attori messi in scena nel primo brano non cambiano, ma anche se la storia di fondo è comune a tutti i protagonisti, sembra che tutto venga messo in scena troppo rapidamente, anche il protagonista stesso della vicenda è abbozzato e molti degli altri comprimari veleggiano tra le pagine più come ricordi evanescenti che come personaggi dai contorni reali. In più occasioni vediamo il protagonista che siede al cospetto dei comprimari che si lasciano andare a ricordi di vita vissuta (le più disparate) e l'attore principale qui, diventa passivo, quasi uno spettatore stesso degli eventi: da qui la mia considerazione che il tutto voglia essere una grande rievocazione storica dei luoghi e dei ricordi, più che un racconto che profila una storia con un inizio ed una fine. L'espediente di presentare la vicenda al presente, per poi partire con dei flash-back per tutta la storia e ritornare al presente alla fine, più che essere accattivante, sembra un orpello pesante, che non trasmette quel valore aggiunto al racconto in sé e per una storia così breve, secondo me, non se ne avvertiva la necessità. Anche il finale è troppo affrettato, si conta sul colpo di scena, ma in realtà è abbastanza prevedibile e risolto in neanche una pagina, per me meritava più spazio e sarebbe potuta essere sviluppata molto meglio. Quello che veramente ho apprezzato è stata l'ambientazione: si vede che è vissuta e sentita dallo scrittore e infatti da qui ne esce il meglio, molto suggestiva poi la scelta temporale dell'inverno, che attutisce e rende affascinate ancor più questa manciata di case liguri abbarbicate sugli Appennini e isolate dal mondo. Spazza via e spiazza il lettore che ha nella testa il luogo comune del binomio Liguria=Mare. Ho apprezzato anche alcuni accenni ad alcuni testi o canzoni presenti nella storia, che sicuramente fanno parte del bagaglio culturale dell'autore, (Arkady Renko, per citarne uno, mio mito personale!).
Gli altri racconti, sono ancora più abbozzati e poco sviluppati del primo: i protagonisti e le storie narrate sono spaccati di realtà quotidiane, con piccoli drammi o esperienze che fanno parte della vita quotidiana di ognuno o rientrano nella memoria collettiva dei più. Manca, secondo me, quell'ottano che fa incendiare il motore e lo spinge al massimo, anche se le idee di fondo sono buone. Sinceramente non posso dire di averne trovato uno che mi abbia lasciato il segno: mi è piaciuta l'idea di “Le tre matite di Bois de Boulogne”, dove gli oggetti si caricano di significati profondi e fanno fare salti mentali pindarici al protagonista; in definitiva credo che Riccardo sia molto bravo nel lavoro che conduce e la scrittura sia uno dei tanti hobby con cui probabilmente si diletta e a cui lavora nei ritagli di tempo a disposizione. L'opportunità del self-publishing in generale, ha contribuito ed aiutato molti cassetti ad aprirsi e a far volare fuori pagine rinchiuse che un tempo sarebbero state al buio per sempre.
Sicuramente questo è un bene, perché molte persone, che hanno tante storie da raccontare, vere o romanzate, hanno la possibilità di arrivare a tutti e il bene prezioso della conoscenza, del tramandare, dell'incantare della fabula che arriva direttamente dal tempo in cui si stava davanti al fuoco ad ascoltare storie, hanno la possibilità di rinnovare questo rito magico.
Forza Riccardo, la strada mi sembra quella giusta, devi solo prendere in mano la mappa con la “legenda” corretta.