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Edith Bruck e Nelo Risi hanno condiviso oltre sessant'anni di vita stretti in un abbraccio che neanche la morte di lui è riuscita a sciogliere. Il loro è un legame viscerale, uterino (“Forse la tua presenza è interiore, come un'eterna invisibile gravidanza di te”) ma rispettoso delle differenze. La diversità di entrambi è accolta, valorizzata, amata pur con difficoltà, e se c'è stato un prezzo da pagare per una relazione così totalizzante non è l'aver confuso se stessi con l'altro, nell'altro, quanto piuttosto l'aver sentito la sofferenza altrui come fosse propria.
Dopo la morte di Nelo, scrivere diventa per Edith una necessità: “Parlandoti, scrivendoti, mi sembra di emergere dal pozzo buio dove sono caduta e di risalire verso la luce.” Dalle pagine affiora tanta malinconia, accompagnata però dalla consapevolezza che i ricordi sono il “cordone ombelicale” grazie al quale Nelo continua a vivere in lei.
Edith affida il dolore immenso per la perdita di Nelo alle parole e queste diventano testamento della loro unione. In eredità lasciano il libro stesso, partorito da Edith ma figlio di entrambi - come un bambino in cui si riconoscono il naso e la bocca della madre, gli occhi del padre. Come sigillo la scrittrice sceglie “Ti lascio dormire”, una frase sussurrata mattina dopo mattina fino a diventare amorevole consuetudine, simbolo di una quotidianità che tuttavia non ha perso il potere di commuovere.