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Settantadue giorni è il romanzo che narra delle vicende avvenute in seguito al disastro aereo avvenuto il 13 ottobre 1972 quando il volo 571 della Fuerza Aérea Uruguaya si schiantò sulle montagne delle Ande, raccontato dal sopravvisuto Nando Parrado, ex rugbista a 15 uruguaiano, uno dei sedici uruguaiani sopravvissuti. L'eroica impresa di Parrado e Canessa è famosa anche per il film che ne è stato tratto, Parrado infatti collaborò molto nella realizzazione di “Alive - Sopravvissuti” del 1993, regia di Frank Marshall, dove è stato interpretato da Ethan Hawke.
Il 13 ottobre 1972 il volo 571 della Fuerza Aérea Uruguaya si schiantò sulle montagne delle Ande. Il volo trasportava l'intera squadra di rugby Old Christians Club con i rispettivi allenatori, parenti e amici diretti a Santiago per disputare alcuni match amichevoli con squadre cilene. Dopo aver perso sua madre nello schianto e sua sorella Susana dopo alcuni giorni, e aver trascorso due mesi intrappolato sulle montagne con gli altri sopravvissuti allo schianto, Parrado, insieme a Roberto Canessa, decise di scalare le cime delle Ande alla ricerca di aiuto. L'eroico viaggio durò ben dieci giorni, quando i due superstiti, ormai stremati, incontrarono il mandriano Sergio Catalan.
Parrado è stato più spesso definito come il prescelto, incaricato di portare in salvo i superstiti. La notte dopo la caduta dell'aereo, infatti, egli trascorse la notte privo di sensi assieme ai cadaveri, poiché tutti pensarono che fosse morto. L'ottavo giorno, inoltre, in seguito ad una valanga che uccise gran parte dei superstiti, riuscì a sopravvivere nonostante avesse trascorso diversi minuti sotto la neve gelata.
Esiste un altro famoso libro che racconta questa vicenda dello scrittore inglese Piers Paul Read, “Tabù” che descrive con precisione fino nei più macabri dettagli l'incidente, le ricerche dei parenti, la lotta per la sopravvivenza, ma la cronaca è fredda e asettica. Parrado racconta invece i sentimenti che legavano i ragazzi, prima e dopo la catastrofe: la vita antecedente, che aveva gettato le basi per una solida amicizia, l'amore per i familiari, quelli deceduti nello schianto e quelli rimasti lontani ad aspettare, la solidarietà, la paura, lo sconforto, il freddo, la fame, la tragica decisione di cibarsi dei cadaveri. Alcuni confidavano nell'aiuto divino o dei soccorritori, mentre altri, più realisti, contavano solo sulle proprie forze.
E' una storia straordinaria di sopravvivenza, per quanto mi riguarda forse infarcita un po' troppo di valori religiosi a me lontani e in alcuni punti sembra esaltare inverosimilmente tutti i personaggi (sebbene nell'altro libro “Tabù” alcuni di questi hanno un ruolo più realisticamente negativo), ho trovato le parti del libro che raccontano gli avvenimenti legati alla sopravvivenza pura davvero avvincenti e incredibili seppur veri, meno le parti di riflessioni esistenziali e tutto il seguito della vicenda una volta conclusa, con le varie vite vissute dai sopravvissuti, davvero un po' lente e noiose.
Sicuramente un libro da leggere per capire come l'uomo riesce davvero ad adattarsi in qualsiasi situazione, come sia legato alla propria vita e com'è forte lo spirito di sopravvivenza in ognuno di noi. Da segnalare la sconvolgente bellezza, seppure ostile, della natura Andina... l'autore ne esalta comunque la grandiosità anche nei momenti più bui, questo dovrebbe far riflettere ognuno di noi su quanto sia prezioso il mondo in cui viviamo.