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E Johnny prese il fucile è un romanzo dello scrittore statunitense Dalton Trumbo del 1939. Questo libro è un'atroce requisitoria contro la guerra, un grido di pietà ed indignazione, un attacco alla scienza e all'esercito, ed infine anche un'interrogazione sull'esistenza di Dio. Venne realizzato anche un film nel 1971 scritto e diretto dallo stesso Trumbo, vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria al 24º Festival di Cannes.
Antifascista e soprattutto antimilitarista, Trumbo scrive questo libro simbolo del pacifismo e contro ogni tipo di guerra nel 1938, ispirandosi ad un fatto realmente accaduto. Il libro uscì nel 1939, quando ormai gli americani stavano per intervenire nel secondo conflitto mondiale, ma dopo l'episodio di Pearl Harbour fu ritirato dalle librerie ed occultato ai più. Fin dal momento della sua pubblicazione è stato strumentalizzato da entrambi gli schieramenti politici, criticato, e addirittura deriso. Persino in Italia, fino a qualche anno fa, recuperare una copia di questo libro poteva essere molto, molto difficile.
Colpito da una cannonata nell'ultimo giorno della prima guerra mondiale del 1914-18, Joe Bohnam soldato americano diciannovenne, perde gambe, braccia e parte del viso: cioè vista, olfatto, udito e parola, diventando un troncone di carne pensante. Ricoverato in un ospedale militare e mantenuto in vita da macchinari che lo alimentano e gli permettono di respirare, Johnny prenderà lentamente coscienza della propria condizione. Mente imprigionata in un corpo che ormai non ha più nulla di umano, ripercorrerà alcuni dei momenti più intensi del suo passato (pregne di “vita idealizzata” in puro stile “casa nella prateria”), fino alla conquista, ma che sarà del tutto amara, della comunicazione con il prossimo.
Il fulcro del romanzo poggia essenzialmente sulla requisitoria contro la guerra e contro la propaganda governativa che costringe uomini e ragazzi ad andare verso la morte per dei concetti del tutto vani secondo Trumbo, di parole idealizzate come “onore” e “libertà”; queste sono le parti in cui il ritmo procede molto lentamente e i concetti si avvitano su se stessi, ripetendosi più e più volte, diventando per il lettore parole ridondanti che fanno perdere “potenza” ai concetti che si vogliono trasmettere.
Le parti più toccanti e meglio riuscite sono quelle in cui l'autore cerca di far entrare il lettore nella condizione estrema di vita di Johnny parlando di solitudine, di isolamento, del bisogno di comunicare e di avere un contatto umano con il prossimo, di sentirsi lui stesso ancora umano. Non mi trova d'accordo con gli altri lettori il concetto della voglia di vivere estrema del protagonista, anzi io ho ravvisato esattamente il contrario.
Per concludere, questo libro è sicuramente uno dei maggiori esempi di manifesti antimilitaristi esistenti, ma rimane principalmente quello o poco più. La storia, le vicende del protagonista con i suoi pensieri, la sua vita prima e dopo aver indossato l'uniforme, è più un contorno (molto ben presentato) per veicolare le idee dell'autore. Devo ammettere che mi ha deluso un poco e ho trovato migliori altri romanzi che raccontano le tragedie della guerra, vedi Remarque, Stern, Barbusse, Malaparte.