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Romanzo vincitore del Premio Strega 2017 . «Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa».
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Un libro triste e che sa di vita.
Bello, anche se ne ho preferito la parte riguardante il rapporto col padre, che forse avrei voluto vedere più approfondita.
Le otto montagne di Paolo Cognetti, scrittore italiano classe 1978, autore di raccolte di racconti per Minimum fax tra l'altro di “Sofia si veste sempre di nero”, “Manuale per ragazze di successo”, “Una cosa piccola che sta per esplodere”, e anche di alcuni saggi sulla montagna con “Il ragazzo selvatico” e un paio su New York come “New York è una finestra senza tende”. L'8 novembre del 2016 è uscito per Einaudi il suo primo romanzo in senso stretto: Le otto montagne, appunto, venduto in 30 paesi ancor prima della pubblicazione e con il quale si è aggiudicato il Premio Strega 2017.
La trama del romanzo: È la storia di Pietro, nato in città, silenzioso, figlio di un uomo e una donna appassionati alla montagna. Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po' scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. Un piccolo paese, Grana, sotto il Monte Rosa diventa il luogo dove passeranno le loro estati, dove Pietro conoscerà Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, “la cosa più simile a un'educazione che abbia ricevuto da lui”. La storia diventa doppia, vedremo crescere i due amici con vite diverse, quasi diametralmente, con scelte che solcheranno come sentieri montani le loro vite, vedremo invecchiare i genitori di Pietro e l'entrata in scena di nuovi personaggi, fino a scoprire l'eredità che la montagna lascerà a tutti loro.
Quando esce un libro con una copertina o un rimando nel titolo (a parte quelli nello scaffale sport) che ha a che fare con la parola “montagna”, io non resisto, finisce immancabilmente nel carrello anche se fosse la storia di un sasso che non si è mai mosso da una cengia per millenni. E' una mia deformazione passionale, per me le montagne sono un richiamo troppo forte, ho una parte del cervello che probabilmente è a forma di una catena montuosa e tutto ciò che attiene ad esse sono per me un'attrattiva troppo forte; ma questo libro rimane sui miei scaffali per parecchio tempo... prima perchè un amico me ne parlò e lo liquidò in maniera spiaccia dicendomi che non gli era piaciuto molto e questo m'influenzò, poi perchè quando vinse il premio Strega me lo fece diventare antipatico nell'attimo stesso in cui lessi la notizia. Non per una sorta di snobismo letterale, ma perchè so come vengono assegnati questi premi e dunque di default li setto come “pura operazione commerciale”. Senonché quelle montagne con la baita sotto, con le nuvole basse a circondarla e sotto un cielo stellato erano un richiamo troppo alto per la mia sezione del cervello adibita ai monti e guarda la copertina oggi e guardala domani...
Appena ho cominciato a leggerlo ho capito che mi avrebbe catturato e che non mi avrebbe lasciato per molto tempo: la montagna, nella sua forma più reale e anche in quella più astratta che ci sia (intesa come calderone di emozioni ed esperienze), è custode e a sua volta protagonista di questa storia, che tratta di formazione, affetti familiari e di amicizia. E' da un po' che non mi capitava di leggerne di così belli, intimi, lirici e selvaggi, sebbene il romanzo sia breve.
Ho adorato da subito la descrizione della vita scandita dal duro lavoro e dai ritmi dettati dalla natura in montagna, dai due personaggi così diversi seppure affini, dalla loro amicizia che si rinnova ad ogni estate quando Pietro lascia la città per fare ritorno insieme alla famiglia tra quelle montagne e, ogni volta, Bruno è lì ad aspettarlo, come se non fosse passato che un giorno. Perché le parole non contano, come non conta la distanza che li separa.
Quello che prende vita dal libro è il racconto della vita: le avventure, i giochi, le incomprensioni, le prime difficoltà e i sensi di colpa; i due bambini che diventano ragazzi e il diventare adulti, sbagliando, cadendo, riprovando e le loro famiglie, diverse ma entrambe imperfette, ma soprattutto si racconta di padri, fragili o brutali e delle donne che gli stanno accanto.
Ma sopra tutto, lei, la montagna, protagonista assoluta. Un atto d'amore verso di lei come la intende Cognetti, lontana dal consumismo di massa dello sci invernale o dei paesini ricostruiti e finti che richiamano i turisti per pochi mesi l'anno. Una montagna vera, rude, spietata e selvaggia, indifferente alle vite degli uomini.
Questo è anche un libro sulla solitudine che è comune a chi in montagna ci va, ancor più a chi ci vive, fatta di silenzi, della difficoltà ad aprirsi verso gli altri, di sacrificio, ma anche di gioia quando si riesce a raggiungere una vetta intesa anche come obbiettivo di vita. La forma e le parole di questo romanzo sono essenziali, dirette, eppure evocative ed intense in cui senza dubbio si avverte l'eco di una persona che in montagna ci ha vissuto e ci vive.
Considero quasi essenziale questa lettura a chi ama la montagna, perché saprà ritrovarsi in molte parole e gesti comuni a tutti quelli che si perdono in pratoni, pietraie e ghiacciai, ma al contempo, essendo un bellissimo romanzo di formazione, lo consiglio a tutti per la potenza evocativa dei legami famigliari che porta con sé.
«Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.»