
L'ombra è un romanzo di Roger Hobbs del 2013, autore statunitense di ventidue anni esordiente, e possiamo solo sperare che non dia seguito a questa storia, o a qualsiasi altra storia per la verità.
La trama è questa: una rapina a mano armata a un casinò di Atlantic City finisce in un bagno di sangue, con uno dei rapinatori ferito e in fuga, all'uomo che ha organizzato il colpo non rimane che rivolgersi a Jack Delton, che dovrebbe essere quello che nel gergo si definisce un'“ombra”: un uomo senza identità, che ripulisce le scene dei crimini senza lasciare la minima traccia di sé. Un mestiere da autentici professionisti, spesso rischioso.
Le premesse sono ottime, le idee sviluppate che ne seguono, molto meno. La trama si rivela sfilacciata, i protagonisti sono ridicoli, macchiette di tutti quegli stereotipi che ci sono negli action-thriller come questi, solo che ne sono davvero la brutta, bruttissima copia. Siamo lontanissimi dai primi libri di Lee Child, con il suo “Jack Reacher”, per citarne uno dei migliori.
Il protagonista ha alle spalle un'esperienza decennale da “ombra”, che dovrebbe essere una specie di Rambo/James Bond/Jason Bourne tutti mescolati insieme ma non si capisce com'è che in questa storia sembra non azzecarne una in fila all'altra e incappa in errori che neanche il primo boy-scout a montare la prima tenda nel bosco, però poi ovviamente ammazza tutti i cattivi (con i dovuti sensi di colpa) e sbroglia la (complicata?) matassa; non parliamo poi di chi l'avrebbe addestrato: una specie di Mata Hari bellissima, intelligentissima, una camaleontessa che sa trasformarsi in ogni situazione cambiando voce e atteggiamenti in un attimo. E va beh, ah ovviamente viene ingroppata dall'ombra/boy-scout. Tralascio la figura del cattivo, che è così cattivo per tutto il libro che vi farà fare la pupù nelle mutande, però poi si farà fregare come un idiota dalla nostra amata ombra.
Insomma, avete capito, state lontani da questa misera storia. Da dimenticare alla svelta.
Ubik è un romanzo dello scrittore statunitense Philip K. Dick pubblicato nel 1969. Ubik è considerato uno dei migliori romanzi di Dick, nel quale la sua classica tecnica di dissoluzione della trama e dei personaggi è mescolata con una fantasia irresistibile e da una dose generosa di umorismo nero; Philip K. Dick scrisse nel 1974 anche una sceneggiatura per un film che doveva essere tratto dal suo romanzo ma che non fu mai realizzato e il libro che ho letto contiene anche questa.
Il romanzo venne pubblicato negli Stati Uniti al culmine dell'ondata psichedelica, e per lungo tempo è stato ritenuto il prodotto delle esperienze dello scrittore californiano con l'LSD. In realtà Dick provò per una sola volta l'acido, e per quanto alcune scene del romanzo nascano dalle visioni avute in quell'occasione, il libro è prevalentemente costruito dalla fantasia di Dick, alimentata per lo più dalle anfetamine.
La trama è più o meno questa: nel futuro lo spionaggio commerciale è diventato una guerra combattuta con tutte le armi, anche con i poteri paranormali. Telepati, telecinetici, si sforzano di carpire i segreti delle grandi aziende multinazionali. E siccome per ogni offesa si studia una difesa, ecco che per neutralizzare le spie dotate di poteri paranormali si attivano agenzie di neutralizzazione. Una di queste è diretta dall'uomo d'affari Glen Runciter, e per lui lavora il protagonista del romanzo, Joe Chip, un tecnico che intrattiene con Runciter un rapporto di amicizia. Runciter è anche aiutato dalla moglie Ella, deceduta da tempo, ma tenuta in animazione sospesa (la cosiddetta semi-vita) in un moratorium. Runciter e Chip, più una pattuglia di inerziali si trovano a doversi recare sulla Luna per affari, e scoprono troppo tardi di essere stati attirati in un attentato dinamitardo, con il quale Hollis, il proprietario della più importante agenzie di spie psi, intende eliminare il suo più grande avversario. Dopo l'esplosione l'unico morto risulta essere Runciter, e Chip con gli inerziali organizza il contrattacco. Ma presto qualcosa di strano comincia a succedere. Gli oggetti regrediscono: i videotelefoni si trasformano in vecchi telefoni in bachelite, i moderni razzi diventano aerei a elica, le automobili tornano agli anni trenta. Tutto ritorna a un tempo precedente, e una serie di enigmatiche tracce e indizi conducono verso la città di Des Moines.
L'atmosfera allucinatoria e folle del romanzo deriva appunto dall'interferenza di due piani di realtà, uno dei quali in continua trasformazione.
La prima cosa che ho pensato quando ho finito il romanzo è stata “io e Dick, non andiamo d'accordo”, la seconda “l'unico romanzo Dickiano che mi è piaciuto è stato l'uomo nell'alto castello” e l'ultimo “ringrazio Dick per aver scritto un libro (per me) mediocre come gli androidi sognano pecore elettriche? che è diventato il film culto Blade Runner”. Questo romanzo, che a detta di molti, è il suo migliore, mi ha entusiasmato pochissimo e anche se ho apprezzato l'idea che sta dietro alla storia, non mi ha mai reso attivamente partecipe nella lettura, che soprattutto nelle prime parti è stata uno sforzo continuo per andare avanti e portarla a termine.
In effetti continuo a ripetermi che un libro del genere dovrebbe piacermi a priori, perché richiama quasi tutte quelle idee che io considero geniali ed entusiasmanti per un fantastico libro di fantascienza, eppure qualcosa non è andato come doveva e io rimango qui a non capire perché un libro che sulla carta e nelle premesse poteva essere uno dei miei libri preferiti, si è trasformato in un pantano da cui ho fatto fatica ad uscire.
Incompreso.
Il romanzo “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati è stato pubblicato nel 1940 e decisamente segnò la consacrazione di Buzzati tra i grandi scrittori del Novecento italiano. L'autore in un'intervista affermò che lo spunto per il romanzo, era nato dalla monotona routine redazionale notturna che faceva a quei tempi. Molto spesso avevo l'idea che quel tran tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita; la trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico era stata per lui quasi istintiva.
Da questo libro è stato creato anche un film, molto bello e poetico, nel 1976 diretto da Valerio Zurlini connel cast Vittorio Gassman, Jacques Perrin, Philippe Noiret, Max Von Sydow e l'appena compianto Giuliano Gemma.
Il tema centrale del romanzo è quello della fuga del tempo, ed è un magistrale esempio della rappresentazione della vita come attesa, come sconfitta e rinuncia, forze ineluttabili guidano l'esistenza di ognuno, coincidenze assurde ed imprevedibili ne determinano il corso, e l'uomo, molto spesso in preda all'angoscia, solitario avventuriero sulla strada della vita, può essere liberato solo dalla morte.
La trama è questa: Giovanni Drogo è un giovane tenente ventunenne destinato ad un avamposto isolato, il Forte Bastiani, un'immensa fortezza gialla ai confini del deserto, un tempo regno dei mitici nemici, i Tartari. In un'atmosfera di mistero, sospesa nel tempo, in un clima eroico di gloria e speranza pietrificato, i soldati aspettano l'arrivo dei Tartari i misteriosi nemici del Nord. E' un'attesa perenne e senza senso che contagia anche il protagonista che arrivato con l'idea di andarsene subito, deciderà di restare, anche lui motivato da quella vana, grandiosa aspettativa della guerra, e si rende conto del tempo che è passato solo dopo quindici anni, quando improvvisamente sente che la giovinezza se ne è andata e si rende conto di aver vissuto vanamente. Ed è proprio allora che i Tartari sbucano dal deserto e prendono d'assalto la Fortezza, ma ormai Drogo, vecchio soldato ormai incapace di combattere, dovrà andarsene prima di vivere quello che aveva aspettato per tutta la vita.
Lo stile del romanzo è meraviglioso, lo scrivere dell'autore sublime, la narrazione si adegua all'atmosfera surreale, dalla lentezza iniziale della vita monotona e ripetitiva che occupa i primi venti capitoli, al ritmo accelerato che la vicenda assume dal momento in cui il protagonista si rende conto che l'esistenza è fuggita via.
Un libro imprescindibile per ogni lettore, un'avventura che si fa riflessione profonda e lucida.
Questo fu l'ultimo romanzo di Hans Fallada che uscì postumo nel 1947, si intitolava “Jeder stirbt für sich allein“ tradotto in italiano come “Ognuno muore solo”. Il libro, tradotto in italiano nel 1948 da Einaudi, è stato recentemente pubblicato in Inghilterra e ha venduto più di 100.000 copie solo negli ultimi tre mesi, inserendosi tra i 50 bestseller inglesi di sempre.
L'autore morì per un overdose di morfina poco prima che il libro fosse pubblicato. Figlio di un giudice che lo voleva avviato alla sua stessa carriera, la sua vita fu segnata da droghe, alcolismo e da una malattia mentale per cui fu più volte ricoverato in diverse cliniche psichiatriche.
Primo Levi disse che questo era “uno dei più bei libri sulla resistenza tedesca contro il nazismo”; racconta la storia di Otto e Anna Quangel, che dopo aver perso il figlio in guerra decidono di iniziare una campagna contro Hitler distribuendo cartoline anti-naziste per le strade di Berlino. Ne depositeranno 285 in due anni, ma solo 18 non saranno consegnate alla polizia e la loro silenziosa opposizione diciamo che non finirà nei migliori dei modi. Il libro si ispira alla storia vera dei coniugi Otto ed Elise Hampel, che furono catturati, processati e decapitati dal regime nazista nel 1943.
Una prima domanda e fondamentale domanda che ci dovremmo porre è: “cosa avremmo fatto noi al loro posto?”; difficile rispondere, vivere sotto una dittatura, così estrema e terribile come fu quella nazista deve essere stato durissimo, anche senza opporsi ad essa. Ma da qui possiamo partire per capire a fondo questo romanzo. La ribellione di queste persone, così mirabilmente descritta da Fallada, ci offre uno spaccato di quello che poteva essere la società tedesca di quel tempo, permeata da un ideologia da “dentro o fuori”. O eri un nazionalsocialista (dunque più che un connazionale tedesco) o eri una persona da sospettare, da correggere, da redimere.
Poi intorno alle figure dei coniugi Quangel, i protagonisti, si muovono una serie di altri personaggi, perlopiù in difficoltà. Ruffiani, prostitute, ubriaconi, scommettitori, spie, moltissime tra la gente comune. Quasi tutti muiono, innocenti o meno. La limpidezza con cui Fallada descrive la crudeltà delle SS, della Gestapo, delle guardie carcerarie, fa rabbrividire. Eppure tutto è descritto così, semplicemente, perchè questa era la normalità.
“Ognuno muore solo” è prima di tutto un romanzo di denuncia, molto cupo e con davvero poca speranza, la paura della morte, il diffidare di tutte le persone che ci sono intorno, la disperazione della vita, sotto il giogo nazista. Alla fine però è un romanzo che si legge bene, scorre velocemente dopo i primi capitoli un po' lenti, complice una scrittura un po' datata a cui dobbiamo abituarci.
Da leggere assolutamente per capire cos'è una dittatura e la resistenza ad essa; fatta da piccole persone, con gesti non eclatanti, forse con nessun risultato se non rimanere onesti con se stessi.
Libro comperato durante la visita al Castello di Torrechiara, eretto fra il 1448 ed il 1460 da Pier Maria II Rossi, conte di San Secondo, a dominio della val Parma; usato come guida turistica sul posto durante la bellissima visita guidata e riletto una volta arrivato a casa più approfonditamente.
Ripercorre la storia e l'architettura di questa famosa costruzione emiliana, che fu anche usato per le riprese del famosissimo film “Lady Hawke”, attraverso anche l'ausilio di foto e illustrazioni. Contiene anche la storia della famiglia Rossi ricchissima famiglia nobile del quattrocento.
La fortezza dal cuore affrescato sorge “altiera et felice”, costruita tra il 1448 e il 1460 dal Magnifico Pier Maria Rossi, esempio tra i più significativi e meglio conservati di architettura castellare italiana.
Da rilevare la famosa e straordinaria “Camera d'Oro”, attribuita a Benedetto Bembo, per celebrare, ad un tempo, la delicata storia d'amore tra Pier Maria e Bianca Pellegrini e la potenza del casato attraverso la raffigurazione di tutti i castelli del feudo.
Libro comperato durante la visita al Castello di Rivalta, che comprende
splendide immagini carpite da tre abili fotografi, patrimonio formato da maestosi castelli, stupefacenti complessi architettonici; le immagini sono affiancate da informazioni sull'arte e sull'architettura dei fortilizi senza trascurare una traccia sotrica comprendente gli avvenimenti più significativi.
Il territorio delle province di Parma e Piacenza, anticamente Ducato di Parma e Piacenza, è stato nei secoli governato da dinastie nobili come i Farnese, i Borbone, i Pallavicino, i Visconti, i Meli Lupi, i Gonzaga, i Rossi, i Sanvitale, gli Sforza, i Landi e i Malaspina. Queste famiglie hanno lasciato un segno indelebile sulla storia locale e nazionale. La traccia più tangibile è ancora oggi costituita dalle antiche dimore, castelli, rocche e ville che testimoniano il passato importante di queste terre.
I castelli descritti nel libro sono:
In Provincia di Parma:
Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense
Castello di Bardi
Reggia di Colorno
Castello di Compiano
Rocca Sanvitale di Fontanellato
Rocca Sanvitale di Sala Baganza
Castello di Montechiarugolo
Rocca dei Rossi di San Secondo
Castello di Scipione dei Marchesi Pallavicino
Rocca Meli Lupi di Soragna
Castello di Torrechiara
Castello di Roccabianca
In Provincia di Piacenza:
Rocca e Castello di Agazzano
Castello Malaspina Dal Verme di Bobbio
Rocca Viscontea di Castell'Arquato
Castello di Gropparello
Rocca d'Olgisio
Castello di Paderna
Castello di Rivalta
Castello di Sarmato
Castello di San Pietro in Cerro
Mastio e Borgo di Vigoleno
Il libro è veramente ben fatto, le foto che accompagnano la storia di queste dimore stupende, sono meravigliose cogliendo i castelli nel tramonto, nelle stagioni autunnali e invernali, quando l'immaginazione ci fa cogliere uno scorcio di torce accese sulle merlature, cavalieri erranti, pellegrini e dame sontuasamente vestite; e ancora assedi, guerre, prigioni e carestie. Il tutto fa di questo libro di grande formato uno dei migliori libri fotografici che possiedo.
Libro comperato durante la visita al borgo di Castell'Arquato, eretto per volontà di Luchino Visconti tra il 1342 e il 1349, usato come guida turistica sul posto durante la bellissima visita guidata e riletto una volta arrivato a casa più approfonditamente.
La rocca passa nel 1404 agli Scotti, poi a Filippo Visconti. Nel 1466 entra nel patrimonio degli Sforza che la tengono sino al 1707, anno nel quale viene inglobata nel Ducato di Parma e Piacenza. Ancora oggi domina, con le sue torri, il borgo e la Val d'Arda. L'edificio, tutto in laterizio, comprende due parti collegate tra loro: un recinto inferiore di forma rettangolare, più ampio, disposto su due gradoni e uno minore, posizionato più in alto. Sovrasta l'intero complesso il mastio, un tempo isolato, perno della difesa urbana e del sistema di sorveglianza dell'intera vallata.
Ripercorre la storia e l'architettura di questo famoso borgo, attraverso anche l'ausilio di foto e illustrazioni. Contiene anche vari aspetti della vita militare e quotidiana medievale.
Girando per il borgo e leggendo il libro potrete ammirare
Il palazzo del Podestà, voluta da Alberto Scoto nel 1292, il torrione Farnese fatto erigere tra il 1527 e il 1535 da Bosia II di santa Fiora, e ultimato nel 1570 da Sforza Sforza. Il battistero di San Giovanni, l'ospedale di S. Spirito e il Palazzo del duca.
Libro comperato durante la visita al Castello di Bardi, costruito in posizione sopraelevata su uno sperone di diaspro rosso. La prima testimonianza scritta della presenza di un castello è data da una pergamena datata 869; usato come guida turistica sul posto durante la bellissima visita guidata e riletto una volta arrivato a casa più approfonditamente.
Ripercorre la storia e l'architettura di questa famosa costruzione emiliana, attraverso anche l'ausilio di foto e illustrazioni. Contiene anche la storia della valle, cenni storici dele popolazioni e della flora e della fauna presente.
Tutti da ammirare sono i camminamenti di ronda, le torri, la piazza d'armi, il cortile d'onore porticato, il pozzo, la ghiacciaia, i granai, le prigioni e le sale di tortura. Gli ex quartieri dei soldati ospitano il Museo della “Civiltà Valligiana”. All'interno della Fortezza di Bardi potrete ammirare il Salone dei Principi recentemente restaurato, le 5 Sale Alpine “Cap. P. Cella” ed il nuovo Museo della Fauna e del Bracconaggio.
Questo libro è una selezione della raccolta di racconti di Anton Čechov che è stato uno scrittore, drammaturgo e medico russo, vissuto nell'ottocento russo, tempo in cui in Russia imperversava la reazione, e la vita intellettuale e letteraria attraversava una fase di ristagno. Il nome di Cechov non è mai stato legato a nessuna scuola o movimento. Fu uno scrittore ferocemente introverso.
Nei racconti dell'autore il tema che ricorre è quasi sempre l'aspirazione dell'uomo umile o modesto come impiegati, medici, contadini, poveri, attori, vedove, studenti o malati ad un'esistenza migliore, sia essa intesa come elevazione da una condizione miserabile e abbrutente, sia come fuga da una quotidianità meschina e opprimente. Il tutto immerso nella quotidianità, con i suoi gesti e le azioni, le parole di ogni giorno.
Spesso la sua narrativa e il suo teatro sono anche un accorato atto di accusa contro la società del suo tempo, che con uno stile semplice e sobrio, è modellato sul tragico quotidiano, cioè sulle tante pene dell'esistenza umana.
I racconti più incisivi di questa raccolta sono sicuramente “La corsia n.6” e “Il monaco nero”, che hanno protagonisti persone malate mentalmente, in particolare “La corsia n.6” ha anche un'ambientazione claustrofobica, che ho trovato geniali ed inquietanti. Gli altri mi sono piaciuti meno e complessivamente direi che Cechov non rientra tra i miei autori russi preferiti, malgrado la scrittura molto fluente ed attuale anche per i nostri tempi.
Il volo della martora è una raccolta di ventisei racconti dello scrittore, scultore, alpinista friulano Mauro Corona, pubblicato nel 1997, alcuni dei quali però erano già stati pubblicati in date diverse su Il Gazzettino di Pordenone.
Precedentemente, sempre di Corona, avevo letto “La fine del mondo storto” nel 2010, stroncandolo in maniera assoluta e completa. Avevo così deciso di chiudere con quest'autore e andare davanti, ignorando completamente qualsiasi richiamo dagli scaffali di montagna che visito spesso e sono quasi tappa d'obbligo nelle librerie montane. Fatto sta, che essendo appassionato di vette, qualcuno decide di comperarmi i primi libri scritti dall'autore.
Essendo che ero già in montagna, il libricino è corto e in più suddiviso in tanti racconti si adattava benissimo ad una lettura poco impegnativa e saltuaria e così eccomi nella recensione di questo libro che mi ha sorpreso in maniera positiva e non dico di essermi ricreduto su quanto detto in precedenza sull'altro libro, ma mi ha riconfermato la regola che degli stessi autori possono scrivere storie bellissime o storie da dimenticare completamente. Forse questo, essendo il primo, aveva quella freschezza e innocenza che poi è andata persa nei libri successivi.
I personaggi di questo libro sono parenti, amici o semplici conoscenti dell'autore che vengono descritti a volte con sottile ironia, a volte con cruda verità quando la miseria porta le persone a comportamenti molto dubbi. Quello che è certo è che emerge in ogni pagina il profondo rispetto per la montagna intesa nella sua integrità, dal sasso all'albero, dagli animali al povero montanaro costretto a vivere in un paese scomodo, misto al pentimento di chi ha ferito la natura a causa di un'educazione spartana ed insensibile.
Il libro parte dai ricordi d'infanzia di Corona, e segue una strada ben delineata, secondo un filo logico che li concatena, fino al tragico evento del 9 ottobre 1963, la caduta del monte Toc nella diga del Vajont, che provocherà non solo la tragica morte di migliaia di persone, ma anche la perdita di una realtà fatta da anni di vita legati alla terra, alle tradizioni e alla cultura di quelle valli.
L'autore ci fa partecipi del suo mondo e ci comunica con estrema semplicità ma con tanta profondità, dei valori ormai dimenticati, ci ricorda che la vita era dura per tutti, anche per i più piccoli, soggetti a privazioni e angherie, alla conquista del cibo e dei modi (anche i più scorretti) per vivere. Gli inverni freddi, le fate, i pascoli e le interminabili bevute di cui parla l'autore sono echi lontani di universi arcaici spazzati via in pochi decenni dall'arrogante forza della modernità.
Insomma se chi legge si porta dentro nell'anima anche un poco di montagna, questi racconti non possono che far vibrare certe corde che portano ad emozioni dure, ma di un fascino inconfutabile. Consigliato agli amanti della vita semplice ma dura, a chi si abbandona ai ricordi e a chi non può fare a meno di respirare l'aria dei monti.
Questo libro raccoglie interi stralci di altri libri scritti durante la vita dell'autore e raccolti qui a formare un sorta di diario dei ricordi di tutte le imprese di Walter Bonatti: celebre alpinista, esploratore e giornalista italiano. Pluridecorato. L'alpinista era soprannominato “il re delle Alpi”. Oltre che scalatore estremo e guida alpina, è stato autore di molti libri e numerosi reportage nei quali ha narrato le sue esperienze d'esplorazione e avventura nelle regioni più impervie del mondo.
Il libro è la raccolta di alcuni racconti dello scalatore riguardanti le sue arrampicate negli anni 50 e 60: le nord delle Cime di Lavaredo, il Cerro Mariano Moreno, il K2, il G4, il Pilier d'Angle, la nord del Cervino, il pilone Centrale del Freney, il Pilastro del Dru. Questo nella prima parte, la più bella, che contiene i ricordi di Bonatti relative all'alpinismo estremo.
La seconda parte del libro, quella che decisamente mi è piaciuta di meno, ripercorre tutte le vicissitudini legali inerenti alla conquista del K2 nel 1954 con l'impresa capitanata da Ardito Desio, che porterà Achille Compagnoni e Lino Lacedelli sulla cima, un'aspra contesa che si chiuderà solo nel 2008 quando verrà accettata ufficialmente la testimonianza da lui resa; essendo che Walter a soli 35 anni, si ritira dall'alpinismo estremo, il libro poi narra dell'esplorazioni da lui fatte in giro per il mondo quando diventò reporter per “Epoca”.
Bonatti sarà sempre legato ad un alpinismo che disdegnava qualsiasi uso di tecnologie, per lui contava solo la fusione tra l'uomo e la montagna, anche nei suoi numerosi viaggi la storia, il paesaggio naturale e l'avventura personale devono divenire un'unica cosa, devono fondersi così da vivere nella natura esperienze per ogni uomo uniche.
Consigliato solamente agli amanti dell'alpinismo e dalla montagna.
Siamo ai tempi della prima Guerra Mondiale: sulla Marmolada, oggi comprensorio sciistico invernale ed estivo con il suo ghiacciaio perenne nelle Dolomiti, imperversano scontri furiosi. L'ingegnere tirolese Leo Handl ha un'idea geniale. Un sistema di tunnel nel ghiaccio che diventa una fortezza inespugnabile all'interno della montagna stessa e in breve tempo nascono cunicoli lunghi chilometri che attraversano i ghiacciai. Nasce la “Città di Ghiaccio” con insediamenti sotterranei, nascosti trinceramenti di difesa, postazioni fin sulla cima più alta. È una guerra nuova, mai vista prima.
In questo libro, che tocca in profondità, i due autori De Bernardin e Wachtler sono ruisciti a fondere magistralmente la storia con la ricerca documentaristica e l'esplorazione personale in merito a questa esclusiva e affascinante realtà della cosiddetta “Guerra Bianca”. Gli scontri vengono ricostruiti da vicino attraverso fonti finora inaccessibili e penetrano negli animi. Si dimostra soprattutto che nessuno riuscì a sconfiggere il nemico più forte: l'indomabile natura. Oltre duecento foto con numerose inedite completano un'opera di cui si sentiva la mancanza, da tempo.
Quest'opera offre senza dubbio un prezioso ed esauriente approfondimento, contribuendo a restituire il giusto credito al tenente Leo Handl e a tutti quegli uomini che persero la vita lassù, senza neanche ricevere medaglie e riconoscimenti, perché venivano premiati i generali che mandavano migliaia di vite a spegnersi sui reticolati nemici e non chi difendeva silenziosamente a tremila metri i confini di allora.
Il regno dei Fanes. Racconto epico delle Dolomiti raggruppa le varie leggende ladine, qui anche illustrate dal bravo illustratore, tratte e rivisitate dal libro di Wolff (vero capostipite delle leggende dei monti pallidi).
La prima parte del libro, quella veramente attinente e fedele alle leggende che trattano la storia del regno dei Fanes, dalla nascita fino alla caduta, scorre velocemente ed è molto affascinante. la storia è avvincente e sembra quasi di leggere un racconto fantasy, i personaggi sono mistici, ma molto umani e richiamano molto le saghe nordiche: un patto tra umani e animali, la bella principessa guerriera, il giovane guerriero valoroso, il crudele stregone e poi ancora nani e creature dell'acqua simili ad ondine... il tutto ambientato nelle magnifiche Dolomiti, con continui riferimenti a luoghi realmente esistenti.
La seconda parte del libro che vorrebbe, nella testa dell'autrice, essere una sorta di continuazione della prima, completamente distaccata ma che si rifà da quelle che sono le leggende tramandate da generazioni, rovina il tutto e lascia l'amaro in bocca. Poteva essere tranquillamente risparmiata.
Ancora una volta un libro che richiamo il nostro ricco patrimonio culturale, che troppo spesso viene dimenticato.
Terza ed ultima tappa della trilogia zombesca di Bourne. Per fortuna vostra, mia e degli zombi. Se fossi un morto che cammina, andrei a cercare Bourne a casa sua. Vorrei divorarlo. Per la noia che mi ha attanagliato nella lettura di questo libro. Per ripagarlo, per fare in modo che smetta di scrivere.
Abbandonata la struttura in forma di diario, ci troviamo a seguire più storie contemporaneamente: la portaerei George Washington (con la sua linea di comando ed il gruppo dei sopravvissuti incontrati nei 2 precedenti libri), la Task Force Clessidra (affiancata dal nostro Kilroy e dal suo amico Saien, imbarcata sul sottomarino Virginia con lo scopo di localizzare il “paziente zero”) la Task Force Phoenix (indirizzati verso l'Hotel 23), l'Avamposto Quattro (base di ricerca nel circolo polare artico) ed anche la base dell'oscuro Remote Six (scopriremo chi sono e quale fine seguono).
Storie diverse, per triplicare il non senso, la noia, tutta la mole degli inutili tecnicismi, le battute scherzose di uomini in situazioni che dovrebbero essere drammatiche e che rendono questi stessi sopravvissuti delle macchiette di se stessi che urlano: “sono un cazzuttissimo americano, faccio scempio di tutto e di tutti e poi ci piscio sopra!”.
E guardate che vi risparmio l'analisi dei personaggi, perchè ne ho la nausea al solo pensiero.
Tutto questo per arrivare ad uno dei “the end” più scemi, affrettati e sconclusionati della storia della letteratura.
Caro Bourne potevi fermarti al primo libro e sarebbe bastato.
Oltre l'esilio, di J. L. Bourne, ufficiale della Marina Militare americana e neo-scrittore, è il secondo volume dell'apprezzata serie zombie survival horror Day by Day Armageddon e il seguito di Diario di un sopravvissuto agli zombie.
Contrariamente ai più, ho trovato questa seconda parte della trilogia meno avvincente, molto lenta la prima parte della storia dove praticamente non succede quasi nulla e sebbene nella seconda si riscatti e acceleri notevolmente, è troppo infarcita di tecnicismi militari e di “trovate” al limite per essere veramente apprezzata. L'inserimento poi di misteriosi organizzazioni governative e il ritorno in pompa magna del grande esercito degli Stati Uniti, riapre in me i soliti dubbi su certi scrittori americani così dediti ad esaltare alcune caratteristiche non proprio digeribili del loro paese d'origine.
Aggiungo a questo che personalmente se nel primo libro ho trovato geniale l'idea di scrivere il romanzo come un diario che descrivesse la vita del protagonista nel mondo reduce dall'apocalisse che l'ha colpito, qui alla lunga l'ho trovato stancante.
Va comunque detto che la storia, rispetto al primo è più drammatica e corale, con una struttura più definita, non mancano i colpi di scena, e in alcuni punti abbiamo un gradito sguardo sul mondo e sulla situazione globale. Un merito allo scrittore è quello di ideare gli zombie provenienti dalle zone radioattive. Più veloci e più astuti dei loro cugini “normali”, i non morti irradiati possono usare utensili (come un'ascia, ad esempio), sono estremamente determinati nell'inseguimento delle prede, e risultano mortali con la sola presenza per via della quantità letale di radiazioni che emettono.
Un plauso va dato anche alla casa editrice che ha curato molto l'estetica del libro di tutta la trilogia, mi piace molto la la copertina in cartoncino morbido di ottima qualità, così come il disegno che riprende lo stile minimale del capitolo precedente anche nella similitudine dei colori, però invertiti.
Per chiudere direi che ho apprezzato sicuramente di più il primo libro di questo, forse perché personalmente amo più il sopravvissuto che lotta in solitaria contro tutti, piuttosto che le storie corali, sicuramente quello che meno ho apprezzato è stata l'introduzione di tutte le parti militari, con le descrizioni degli armamenti, che per quanto accurate, ho trovato noiose. Vediamo come si evolverà il terzo capitolo, anche se temo che dal mio punto di vista, potrà solo peggiorare.
Questo libro è nato nell'ambito del 150° anniversario di fondazione del Club Alpino Italiano, la prima associazione nata dopo l'Unità d'Italia; per questo il CAI e il Corriere della Sera-RCS MediaGroup hanno realizzato la “Guida ai Rifugi del CAI”, che non era mai stata presente nelle librerie.
Questa guida non racconta semplicemente i rifugi come patrimonio storico del CAI, ma viene posto l'accento sull'importanza di questi presidi per la cultura della montagna, baluardi delle tradizioni e delle gastronomie locali.
Utile agli esperti come agli amatori, la Guida ai Rifugi del CAI è uno strumento indispensabile per scoprire le escursioni in alta quota, programmare senza inconvenienti nuovi itinerari e vivere appieno la montagna italiana.
Rumore bianco è un romanzo del 1985 dello scrittore americano Don DeLillo, da molti ritenuto esemplificativo della letteratura postmoderna. È stato anche vincitore del National Book Award.
E' molto difficile commentare questo libro perchè è stata una lettura faticosa, molto impegnativa ed infatti ho impiegato molto tempo per finirlo, per il mio continuio fermarmi per rileggere paragrafi, pagine a volte capitoli interi, incantato molte volte dalla scrittura e dalle sensazioni che uscivano ininterrotte dalle pagine.
Il romanzo è ambientato in un college del Midwest degli Stati Uniti, e ha come protagonista Jack Gladney, un professore universitario che è diventato famoso e noto per essere diventato preside della facoltà dove si svolgono studi approfonditi sulla figura di Hitler. Sposato diverse volte, vive con Babette, sua moglie attuale in una casa dove convivono con i figli generati dai precedenti matrimoni. Questa parte ingloba quasi tutta la prima metà di “Rumore bianco” ed è una cronaca dell'assurdo della vita di famiglia, combinata con una satira sul mondo accademico.
Nella seconda parte, una fuoriuscita di materiali chimici da un vagone ferroviario causa la formazione di una nuvola tossica nella zona in cui vivono Jack e la sua famiglia, rendendo necessaria un'evacuazione; preoccupato per essersi esposto alla tossina, Jack è costretto a fare i conti col fatto di poter morire. Qui il romanzo diviene una profonda riflessione sulla paura della morte nella società moderna e sulla sua ossessione per le cure mediche, con Jack che cerca di comprare al mercato nero un farmaco chiamato Dylar, che si ritiene possa alleviare la paura della morte.
I temi trattati dal libro sono molteplici: il consumismo rampante, la saturazione mediatica, l'intellettualismo spicciolo, le cospirazioni sotterranee, la disintegrazione e la reintegrazione della famiglia, la paranoia e le qualità potenzialmente positive della violenza umana. Da qui anche il titolo del libro che fa riferimento al “rumore bianco” prodotto dal consumismo, dai media, dalle tecnologie della comunicazione.
I dialoghi e le parti introspettive del protagonista sono continui rimandi di riflessioni sociologiche e filosofiche, tutto coperto da questo rumore bianco di sottofondo che è sempre presente, lo stile di De Lillo è trascinatorio ed evocativo: lucido, affilato e corposo, caustico e feroce, ripeto, in alcuni punti resta un romanzo di non facile lettura, che richiede molta attenzione, ma ne vale sicuramente la pena.
Noi tutti, circondati dalle radiazioni emesse da televisori, radio, forni a microonde, cellulari, siamo costantemente immersi nel “rumore bianco” e cerchiamo anche noi di sconfiggere la paura della morte con l'esasperazione del consumismo, dove l'ottica è che più comperiamo, più siamo, più esistiamo e diamo un senso, per quanto vuoto, alla nostra vita, perchè il rumore bianco è la paura della morte.
Un romanzo che vale la pena leggere, per la storia, la scrittura di DeLillo e per tutto quello che ha da raccontarci.
Ho recuperato in fretta questo libro per l'approssimarsi dell'uscita del film omonimo del 27 giugno 2013, con protagonista Brad Pitt, volevo anche decisamente evitare di ritrovarmi una copia ristampata apposta con il faccione belloccio dell'attore americano in prima di copertina. Fatto sta che mi sono messo in fretta alla lettura e come sospettavo, dalla visione del trailer in rete, il libro di Brooks non c'entra per nulla con il film che uscirà.
Dicevamo dunque: World War Z. La guerra mondiale degli zombi è un romanzo horror fantascientifico post apocalittico del 2006 di Max Brooks, seconda opera letteraria sull'argomento zombie, successiva a Manuale per sopravvivere agli zombi (che sto leggendo in contemporanea e che trovo divertentissimo) è strutturato come una serie di interviste orali: Brooks, un agente della Commissione Dopoguerra dell'Onu, descrive la storia dalla prospettiva del singolo individuo, infatti, la trama è presentata e incentrata sulle varie interviste delle vicissitudini delle persone sopravvissute.
Per rendere il romanzo più realistico possibile, nonostante si tratti di narrare la storia immaginaria di una guerra mondiale tra umanità e “morti viventi”, Brooks ha sviluppato numerose ed approfondite ricerche, per documentarsi e trattare al meglio la realtà sociopolitica e culturale attuale (e quindi calare in essa gli sviluppi di fantasia che vengono raccontati) e per rendere plausibili e convincenti le tattiche di guerriglia militari e le reazioni delle varie popolazioni del mondo.
World War Z si presenta dunque come un reportage di sequenze narrative, lunghe in media quattro-cinque pagine. Alcune sono meglio di altre, appassionano di più il lettore, ma tutte sono su di un ottimo livello narrativo. Citiamo alcune: la battaglia di Yonkers, il piano Redeker, il pilota disperso, la diffusione del falso vaccino “Phalanx”, la tratta dei fuggiaschi clandestini disperati, il trapianto clandestino degli organi infetti (non sapendo dell'infezione), l'avventura di un sommergibile cinese che si ritrova a vagare per oceani infestati sopra e sotto dagli Zom. E molte altre.
Brooks riesce pienamente nel compito di descrivere un evento completamente inventato, passandolo come cronaca di un fatto realmente accaduto, documentando il tutto con dati statistici, piani di evacuazione, strategie belliche, reportage di sopravvissuti. Il tutto funziona così bene che alla fine, paradossalmente, risulta tutto così credibile e vivido agli occhi del lettore. Un libro assai intelligente, che deluderà forse l'amante dell'horror classico e stupirà piacevolmente lo scettico. Eccellente sotto tutti i punti di vista,un romanzo che è già un cult per chi è appassionato della filmografia del maestro Romero.
Capostipite di tutti i romanzi successivi che trattano di zombie e lettura obbligatoria a chi si vuole avvicinare al genere, dobbiamo solo sperare che il film che ne è stato tratto non sia effettivamente così “liberamente tratto” come sembra, anche se mi sembra di scrivere di una morte già annunciata.
Libro, comperato durante la visita alle grotte di Catullo a Sirmione, usato come guida turistica sul posto e riletto una volta arrivato a casa più approfonditamente.
Ripercorre la storia e l'architettura di questa famosa costruzione sul Lago di Garda, attraverso anche l'ausilio di foto e illustrazioni.
Veramente ben fatto.
La notte eterna del coniglio è un romanzo del 2003, pubblicato da Marsilio, dall'italiano Giacomo Gardumi, che a quando si scrive questa recensione a dieci anni di distanza dal simpatico coniglio, ha all'attivo solo un altro romanzo: per gloria di Dio, aggiungo io; no, non ho neanche guardato la trama dell'altro, non sono masochista.
La delusione è devastante, totale, annichilente, su tutti i fronti nonostante le buone premesse: un'apocalisse atomica e quattro bunker collegati tra loro via video e con all'interno quattro nuclei familiari alle prese con la vita da sopravvissuti. Il tutto si complica quando alla paranoia della claustrofobia e le difficoltà di affrontare una vita che non esiste più, sbucherà d'improvviso un serial killer vestito da coniglio rosa.
In questo romanzo non funziona praticamente nulla a partire dalla narrazione in prima persona, verbosa e introspettiva... di un personaggio femminile che è anche la voce narrante di cui non è dato sapere quasi nulla e che sembra l'autore stesso, lontano anni luce da qualsiasi buon personaggio femminile e risulta praticamente odiosa dal primo momento in cui si palesa. Gli altri personaggi sono solo abbozzati, stereotipati e noiosi. L'ambiente, che dovrebbe essere claustrofobico, lo è per il lettore che si domanda con vero terrore (l'unico del libro) quante pagine mancano alla fine, la tensione del luogo confinato che dovrebbe inasprire le personalità dei personaggi li rende invece ancor più buffi ed insulsi (la zia con la “evve” moscia è un oltraggio alla scrittura). E i dialoghi sono scadenti che più scadenti non si può: legnosi e innaturali.
Se a tutto questo aggiungiamo pagine e pagine di discorsi, spiegazioni e deliri raggiungiamo vette di noia che Messner aggiungerebbe volentieri ai suoi personali 8,000 da scalare. Ma purtroppo il vero colpo di grazia è la spiegazione finale della protagonista sul come e perché i fatti si sono svolti, evidentemente l'autore giudicava i suoi lettori non sufficientemente “svegli” (forse perché addormentati dal suo scritto) per capire come si era svolto il tutto. Un noiosissimo “Epilogo” e poi ancor più l'inutile “Conclusione” quando il lettore da tempo sta già pensando a cosa leggere per farsi passare il mal di stomaco da quest'orridume.
Lungo, noioso, assurdo, banale.
Quando si scoprono libri “preziosi”, semisconosciuti, pubblicati da piccole case editrici che fanno fatica ad andare avanti, è un piacere leggerli, un piacere anche comperarli, per aiutare chi con impegno è sempre alla ricerca del nuovo che stupisce, della piccola perla, senza pubblicità, senza occupare metri quadri enormi di scaffali e vetrine nelle librerie. Chi da l'opportunità di dare alle stampe il proprio genio letterario, ancor meglio se italiano, piccola ovazione tutta patriottica.
Perché ho definito questo libro “prezioso”? Non certo per una questione monetaria o da collezione, ma per tutti i concetti ribaditi all'inizio, ma soprattutto perché questo libro è bello, mi è piaciuto, mi ha divertito e sorpreso; è stato originale nel proporre un genere molto sfruttato, quello degli zombie: violento, disperato, crudo. Un gruppo di sopravvissuti, divorati dalla fame e dalla paura, che si muove per le rovine di una Francia, che con lo sbarco in Normandia del 1944 ha visto la fine dell'umanità e adesso a dodici anni di distanza si trova infestata dai Morti e con lei, il mondo intero. Il libro racconta i vagabondaggi di un gruppo di disperati, molti ex combattenti, anche di fronti opposti, uniti nella lotta per la sopravvivenza contro i non morti e anche con i pochi sopravvissuti rimasti.
Ho scoperto dopo la lettura che i due autori italiani hanno scritto questo libro prendendo spunto e ambientazioni dal loro stesso gioco di ruolo pluripremiato “Sine Requie”, dunque un manipolo di “sopravvissuti” che affrontano un viaggio per la sopravvivenza, scontrandosi con tutti, anche con loro stessi. Il libro è di facile lettura, e anche se a volte appare acerbo ed incerto, è godibile e piacevole ben oltre le aspettative, descrivendo gli zombi in maniera tutta nuova, originale ed inquietante.
Ritmo serrato, senza fronzoli, si legge in un fiato mantenendo alta la tensione per tutta la storia, coglie tutta l'atmosfera opprimente e apocalittica dell'immaginario mondo in cui è ambientato, e certamente può piacere sia ai fan dei libri zombeschi, che a quelli del genere post-apocalittico. Pecca un poco nei tre quarti finali, ma vince oltremisura proprio nel finale a sorpresa, nelle ultimissime pagine che valgono quasi il libro intero.
Affascinante anche l'ucronia che abbina la classica “epidemia” di zombie, alla Seconda Guerra Mondiale, oltremodo originale e resa nel massimo livore storico.
Io credo che gli autori non possano sottrarsi molto a lungo ad un sequel, viste anche le molteplici possibilità offerte in termini creativi e di sviluppo della storia, anche perché il “finale” del libro è esso stesso un prologo di una serie di possibili sviluppi.
Forte, trascinante, crudo. Consigliato agli appassionati del genere.
Inferno è il sesto romanzo thriller dello scrittore Dan Brown, pubblicato il 14 maggio 2013 in contemporanea in quasi tutto il mondo. Protagonista ancora una volta il professor Robert Langdon, ormai arrivato ad essere una sorta di novello “Indiana Jones”, visto tutte le avventure che ha dovuto affrontare nel corso di tutti i libri incentrati sulla sua figura.
Dunque diciamo subito che i fasti del “Codice” sono ormai appannati e lontani, allontanati pagina dopo pagina da tutte le storie che sono seguite. Perchè? E' presto detto: la storia è sempre uguale, si ripete nel tempo e alla fine, stanca. Anche se il ritmo è sempre ben sostenuto e l'ambientazione storica/artistica, resa ottimamente, riuscendo ad esaltare come sempre le nostre bellezze artistiche italiane, la nostra storia così piena di episodi, a volte misteriosi.
Un riassunto di qualsiasi libro di Dan Brown con protagonista il professo Langdon è sostanzialmente la seguente: il nostro caro esperto di simbolismo viene chiamato nel bel mezzo della notte. Qualcuno di molto potente, in relazione con le autorità (di vario tipo), ha bisogno della sua esperienza che solo il nostro protagonista è in grado di fornire. Un personaggio molto noto ed influente è morto ed ha iniziato una catena di eventi che avranno conseguenze catastrofiche se non viene interrotta. Le autorità hanno bisogno dell'esimio professore per risolvere un enigma che altri hanno lasciato sotto forma di simboli poco prima di morire, dunque abbiamo qualche indizio nebuloso per risolvere l'arcano, il tutto in un lasso di tempo molto breve, che porta ovviamente alla possibile distruzione di tutto il genere umano. Non manca l'organizzazione segreta che ha compiti poco chiari, così come l'antagonista o i vari co-protagonisti di Langdon. Mentre il nostro famoso simbolista cerca di risolvere il rompicapo viene affiancato da una giovane, bella e intelligente donna per ragioni collegate in qualche modo con l'uomo morto ed il mistero. Negli ultimi capitoli del libro si scopre che i vari attori dello spettacolo si conoscevano quasi tutti fin dall'inizio è il povero Robert è stato manipolato per tutto il tempo! Il libro si conclude con l'antagonista che fallisce, ma riuscendo comunque a fare qualcosa, a non perdere del tutto. Il lettore a questo punto si domanda se il cattivo era veramente cattivo, oppure se era votato al bene dell'umanità e nessuno lo ha capito veramente.
Questo è il canovaccio che si ripete in ogni libro. Bello per il primo, apprezzabile per il secondo, ma arrivati al quarto, tutto sa di già letto e che tu ci metta Dante con la “Divina Commedia”, l'Opus Dei cattivo e il Vaticano o Leonardo da Vinci, poco importa. Detto questo, non si può però dire che la lettura del libro non scorra velocemente o annoiando il lettore, i richiami alla nostra storia, alle opere d'arte citate, meritano (se non lo si è già fatto) una visita di persona, o almeno un'occhiata su Google. Dunque esiste comunque un divertimento nel proseguo della lettura e un piccolo approfondimento personale se si vuole.
Però non si possono propinare quattro libri tutti uguali e pretendere che la gente continui a divertirsi o a stupirsi come per il primo, caro Dan Brown, ti devi inventare qualcosa di nuovo, anche perchè, diciamolo chiaramente, dopo il “Codice”, non è che tu sia riuscito a entusiasmare, a provocare, così tanto. Il tutto, è stato un godere passivo, di quella prima storia. Io mi sono molto divertito nella lettura della tua opera più famosa (ben sapendo che hai scritto un romanzo di fantasia e non un saggio come molti hanno travisato), ma da lì è stata una continua discesa.
Basta adesso, volta pagina, lascia stare il professor Langdon per un po' e sforzati d'inventarti qualcosa di nuovo.
“Diario di un sopravvissuto agli zombie” è un libro post-apocalittico, con tendenze horror, del 2004 dell'autore J.L. Bourne, primo di una trilogia che la casa editrice “Multiplayer.it Edizioni” sta ristampando qui in Italia. I primi due volumi sono reperibili, il terzo alla data in cui scrivo, non è ancora uscito.
J. L. Bourne, militare di professione, ha partecipato ad alcune delle ultime operazioni militari americane, tra cui quella in Iraq. Non è uno scrittore di professione dunque, ed effitavamente nel libro si percepisce in più punti. la curiosità di questo libro è che è scritta come un diario e le cronache narrate, in un primo momento, sono nate sotto forma di post sul blog dell'autore e visto l'ampia riscossione di successo sono state acquistate e pubblicate in cartaceo, venendo acclamate dalla critica e dal pubblico in maniera più che positiva.
La trama non fa gridare al miracolo dell'originalità, ma in tutta franchezza è difficile inventare qualcosa di nuovo nel campo della letteratura zombesca: è la battaglia di un uomo per la sopravvivenza, contro le prove che il mondo dei non morti gli propone giornalmente... Una piaga sconosciuta dilaga sul pianeta. I morti risorgono e, come nuova specie dominante, reclamano la Terra. Imprigionato in una tragedia planetaria, toccano a lui decisioni fondamentali – scelte che faranno la definitiva e assoluta differenza tra la vita o l'eterna maledizione...
Come si diceva nulla di nuovo, ma l'uso della prima persona e la “trovata” del diario favorisce il coinvolgimento del lettore nel mondo e nelle vicende vissute dal protagonista, vivendo così attraverso i suoi scritti l'orrore, la paura e la discesa verso un mondo impazzito, dove tornerà preponderante la legge del più forte, o del meglio armato.
Tutto il libro non ha veri e propri capitoli, se non sommarie sezioni; il tutto sembra scritto come appunti che un qualsiasi sopravvissuto potrebbe scrivere, veloci e diretti, e quasi non esiste l'idea del romanzo in quanto tale. E se questo agevola il ritmo e la velocità di lettura, ne pecca la scrittura e la costruzione dei personaggi, se non di quello principale, ma sicuramente dei comprimari.
Dunque in questo primo libro di Bourne c'è la componente più superficiale dell'arte dello scrivere e raccontare storie, ma non per questo banale o poco efficace nel raccontarne le vicende, la lotta ai morti che camminano, il mondo descritto ed il linguaggio che viene usato rispecchia quella che potrebbe essere la realtà immaginata.
Il libro tutto sommato mi ha divertito e sicuramente leggerò anche gli altri due della serie, sperando in una maggiore capacità narrativa dell'autore nei seguenti episodi.
Il fatto è che un giorno entri in libreria, non hai neanche la minima idea del fatto che tu stia per comperare un libro del genere, anzi diciamocelo chiaramente, ci sei pure passato vicino l'ultima volta e ti ricordi benissimo di aver pensato qualcosa come: “ma che libro idiota!”. E' che poi per caso incominci a vedere “The Walking Dead” e allora sono cazzi amico, perchè cominci a divorare letteralmente qualsiasi cosa sull'arogmento.
E allora eccoti qui che stringi tra le mani questo manuale di sopravvivenza insieme agli altri libri per cui eri venuto in libreria, ecco bravo lo nascondi tra un Verne e un London, come una rivista pornografica data ad un'edicolante tra la copia dell'Avvenire e Famiglia Cristiana, perchè lo sai che la ragazza alla cassa ti fisserà per bene per vedere chi ha comperato questo libro dopo averlo passato sul lettore; si beh, cara mia, vogliamo forse indagare sul fatto che hai sul comodino tutta la trilogia di Twilight? Vediamo quanto ti servirà quando arriverrà un attacco di zombie, ti vedrò passare con le carni decomposte dal mio rifugio sicurissimo. Ci puoi giurare bella mia.
Manuale per sopravvivere agli zombie è un libro di Max Brooks. Famoso per aver scritto quello che tutti gli appassionati considerano un po' come la Bibbia del genere “World War Z”, questo libro è precedente, ma non manca di nulla rispetto al più famoso scritto. Anzi. Questo volume contiene utili consigli rivolti al cittadino medio per sopravvivere a un attacco di morti viventi. E' strutturato esattamente come un manuale di sopravvivenza, suddiviso in capitoli: Capitolo 1: i non-morti: realtà - Capitolo 2: armi e tecniche di combattimento - Capitolo 3: in difesa - Capitolo 4: in fuga - Capitolo 5: all'attacco - Capitolo 6: vivere nel mondo dei non-morti – e un capitolo finale di attacchi documentati.
Ora tutti quei sprovveduti che ignorano il pericolo zombie ovviamente si guarderanno bene dal comperare un libro simile, ma per gli addicted è un titolo che non può mancare in libreria. Dobbiamo tenerci pronti all'apocalisse zombie che potrebbe scatenarsi da un momento all'altro e questo manuale spiega esattamente come affrontare l'inevitabile. Siete avvertiti, poi non venite a piangere da noi, quando sentirete grattare alle vostre porte.
Divertentissimo, semi serio manuale di autodifesa. Tratta l'argomento con una prosa lucida e una logica stringente che quasi volti la testa e ti stupisci del fatto che non vedi camminare morti viventi fuori sulla strada. Consigliato a tutti gli appassionati (e a chi si aspetta un attacco zombie da un momento all'altro, ovviamente).
“Il più grande uomo scimmia del Pleistocene” è un romanzo del 1960, che come dice Pratchett, è di difficile collocazione come genere letterario, dato che tratta argomenti che vanno dalla storia primitiva, all'anacronismo, alla fantascienza, all'humour all'inglese; scritto dal giornalista inglese Roy Lewis, narra le vicende di un gruppo di cavernicoli dell'Africa centrale del tardo Pleistocene, le loro lotte per sopravvivere ed evolversi. Esposto in modo umoristico, si prende spunto per scherzare su argomenti attuali che il lettore vede trasportati nell'Africa preistorica, come la contrapposizione tra le generazioni, i primi amori, gli scontri matrimoniali.
La trama narra le vicende di un branco di uomini primitivi, un'orda, e si svolge in un luogo non precisato nell'Africa centrale della fine del Pleistocene, circa 3 milioni di anni fa. Il romanzo è narrato in prima persona dal figlio di Edward, Ernest. Edward, è un novello Leonardo da Vinci preistorico, incoraggia gli altri a scendere dagli alberi, scopre come procurarsi il fuoco, insiste perché tutti abbiano una corretta posizione eretta, inventa nuove armi e trappole per la caccia, scopre come cuocere i cibi. Inoltre, obbliga i figli a sposare donne che appartengono ad un altro clan. A contrapporsi a lui, sarà lo zio Vania, che invece pensa che tutte queste invenzioni, faranno solo danni allo sviluppo dell'orda. Da qui nascono i dialoghi divertenti.
Se possiamo essere d'accordo con Pratchett quando afferma che il libro è di difficile collocazione, non possiamo fare altrettanto quando afferma che “Il libro che avete tra le mani è uno dei più divertenti degli ultimi cinquecentomila anni.” Non trovo questo romanzo così geniale e divertente come lui e altri hanno ritenuto; il libro scorre ed è ironico, in alcuni punti anche divertente. Definirlo comico mi pare esagerato, ma l'intelligenza e l'acume dell'autore sono fuori discussione. Da apprezzare anche l'uso di anacronie a scopo comico.
Un modo singolare e simpatico di ragionare sulle nostre origini e se volete qualche ora di piacevole svago, potete certamente cimentarvi nella lettura di questo libro.