
Memorie di Adriano è un romanzo francese della scrittrice Marguerite Yourcenar pubblicato per la prima volta nel 1951. Il libro è organizzato in 6 parti, tra cui un prologo ed un epilogo: prende forma di lunga epistola indirizzata dall'anziano e malato imperatore al giovane amico Marco Aurelio, allora diciassettenne e che poco dopo diverrà suo nipote adottivo nonché successore al trono.
Il libro descrive la storia di Publio Elio Traiano Adriano, l'imperatore romano del II sec., immedesimandosi nella figura di questo in un modo del tutto nuovo ed originale: infatti immagina di fare scrivere ad Adriano una lunga lettera nella quale parla della sua vita pubblica e privata. L'imperatore si trova così a riflettere sui trionfi militari conseguiti, sul proprio amore nei confronti della poesia, della musica e della filosofia, della sua passione verso il giovanissimo amante Antinoo.
Bisogna anzitutto dire che nonostante sia un libro del 1951 e che tratta sostanzialmente di un uomo vissuto più di duemila anni fa, è ancora oggi un libro attuale, le riflessioni di Adriano sono anche le nostre, sono le riflessioni dell'uomo di ogni tempo. E' un romanzo che va letto a prescindere, se non per la storia in sè stessa, per la soavità e la beltà assoluta della scrittura della scrittrice e per i messaggi filosofici di cui questa opera è pregna.
La minuziosa ricostruzione storica è grandiosa così come lo studio di un personaggio complesso come quello di Adriano e infatti l'autrice ha portato avanti per anni la stesura del testo. C'è molto da scoprire, da riflettere, da meditare, da assaporare, letteralmente parlando, che una volta sola quasi non basta per coglierne tutta la grandezza, tutte le sfumature; non è un libro semplice comunque, non si legge tutto d'un fiato come un thriller, è complesso e molte volte si deve passare più volte le frasi e i paragrafi per gustare al meglio la scrittura e ciò che Adriano/Yourcenar vuole comunicarci con questa lettera aperta.
Profondo, moderno pur trattando di una vita così lontana dalla nostra, illuminato da una scrittura perfetta. Sicuramente uno dei più grandi capolavori della letteratura di tutti i tempi. Fa riflettere soprattutto anche che sia una donna che scrive l'autobiografia di un'imperatore uomo e che riesca ad entrare così in profondità nel suo animo. Un lavoro sublime che lo rende per noi comprensibile, toccando contenuti universali. Adriano era un uomo, libero e dotto, semplicemente. E si vede l'essere umano perso nella solitudine della sua conoscenza, che si ritrova nel coraggio di affrontare la realtà con soluzioni sempre diverse. E' stata la sua voglia di pace in un contesto così “guerrafondaio” che mi ha riempito di stupore.
Per concludere direi che sicuramente è una lettura interessante e profonda che va sicuramente fatta, non nego che sia impegnativa e ostica in alcuni punti, ma molto edificante e che vi darà soddisfazione, con una storia comunque romanzata, nella mentalità e negli usi e costumi di quell'epoca. La lettura del libro capolavoro della Yourcenar permette anche di comprendere il grande lavoro di studio e di documentazione che sta alla base della sua elaborazione, senza che ciò però si risolva in un mero saggio storico. Interessanti a tal proposito anche gli spunti che si ricavano dai “Taccuini di appunti” dell'autrice riportanti in calce al romanzo.
“Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t'appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più... Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti...”
Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico è un romanzo di Luis Sepúlveda del 2012 ambientato nella città tedesca di Monaco di Baviera. È il racconto di come un'amicizia possa essere instaurata e mantenuta a dispetto del pregiudizio e della diversità.
Max è cresciuto insieme al suo gatto Mix creando con lui un legame profondo e sincero. Max, raggiunta la maturità, va a vivere da solo, portandosi dietro l'amato gatto. Il suo lavoro, purtroppo, lo porta spesso fuori casa e Mix, che sta invecchiando e sta perdendo la vista, è costretto a passare lunghe giornate in solitudine. Ma un giorno sente provenire dei rumori dalla dispensa di casa e intuisce che lì si nasconde un topo...
Già l'incipit fa pregustare questa sottile storia e ti mette in pace con il mondo: “Potrei dire che Mix è il gatto di Max, oppure che Max è l'umano di Mix, ma come ci insegna la vita non è giusto che una persona sia padrona di un'altra persona o di un animale, quindi diciamo che Max e Mix, o Mix e Max, si vogliono bene”; qui si coglie una prosa leggera e fiabesca caratterizzata da un anelito di uguaglianza e di libertà. In poche frasi c'è tutto.
E' davvero molto bella questa storia che si legge in poco meno di un'oretta, è spontanea e decisamente scorrevole. Piacevolissima lettura, e si sente l'amore per i gatti come lo stesso Sepúlveda spiega al termine del racconto. E poi si è effettivamente ispirato per questa storia al gatto, che si chiamava effettivamente Mix, di suo figlio Max. Così come nel racconto “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, nel quale i protagonisti sono un gruppo di gatti che allevano una gabbianella, l'autore anche in questo caso vuole affermare i valori dell'amicizia, della lealtà e della solidarietà e il rifiuto di ogni forma di discriminazione del diverso e del nemico.
Oltre alla storia in sé, l'autore si sofferma anche sui paesaggi, sull'alternarsi delle stagioni con le sue meraviglie, per ricordarci che tutto ciò è sotto ai nostri occhi e che dobbiamo fermarci a guardarle, magari con lo sguardo sapeiente ed enigmatico tipico dei gatti.
Il libro è affiancato anche da illustrazioni, create sempre da Simona Mulazzani,che ti fanno capire subito di essere di fronte a un libro di Sepùlveda e che fanno pensare di nuovo anche al gatto Zorba.
Insomma da leggere tutti, piccoli e grandi, per ricordarsi il vero valore di uno dei sentimenti più belli e sinceri che si possono creare tra persone e tra persona e animale: l'amicizia.
1Q84 è un romanzo dello scrittore giapponese Haruki Murakami, apparso originariamente in tre volumi: i primi due sono stati pubblicati nel maggio 2009 e solo nel primo mese è stato venduto più di un milione di copie. Il terzo volume è apparso nell'aprile 2010. Il titolo è un omaggio a 1984 dello scrittore inglese George Orwell; la lettera «Q» del titolo ha la stessa pronuncia del numero 9 (kyuu) in giapponese. La «Q» è anche un riferimento esplicito al “Question mark”, in inglese “punto interrogativo”, come spiegato all'interno del libro.
La sinossi è la seguente: Tokyo, 1984. Aomame è un'assassina spietata e fragile. In minigonna e tacchi a spillo, vendica tutte le donne che subiscono violenza, con una tecnica micidiale e invisibile. Tengo è un ghost writer che deve riscrivere un libro inquietante, pericoloso come una profezia. Entrambi si giocano la vita in una storia che sembra destinata a farli incontrare. Ma quando Aomame vede sorgere in cielo una seconda luna, capisce che, forse, non potranno condividere neppure la stessa realtà...
Il tema centrale di 1Q84 è infatti la storia d'amore tra Tengo e Aomame, vissuta prevalentemente nell'intrecciarsi e nel rincorrersi dei ricordi dei due protagonisti. Motivi come la lontananza, la sparizione e la ricerca sono tra loro strettamente interconnessi; tutti i personaggi principali si cercano, anche se tale quest avviene su diversi piani simbolici come il sogno, la premonizione, il ricordo. Altri temi sono: la morte, la storia, la religione, la violenza, la famiglia. La struttura narrativa si basa, come per molti romanzi di Murakami, su due plot che avanzano in parallelo, con rimandi e connessioni incrociate; spesso gli eventi di una trama hanno una ripercussione immediata nell'altra.
E dopo questa presentazione con un'analisi della struttura e dei contenuti andiamo alle considerazione personali: ho letto molto Murakami, apprezzando sempre e molto la sua parte “onirica” che sempre viene associata all'autore e non si può farne a meno leggendo molti dei suoi racconti, che siano brevi o siano romanzi. Nulla è cambiato neanche riguardo allo stile tipico di Murakami come sempre preciso nel descrivere gli stati d'animo e nel comunicarli al lettore, lo stile di scrittura è pieno e trascina il lettore in una stanza buia dove sullo schermo dell'immaginazione proietta la storia, i personaggi e le emozioni. Ma.
Ma questo libro è una enorme cloaca a cielo aperto. Un immondezzaio puzzolente, una delusione. Direi che la metà delle pagine si possano eliminare, così senza battere ciglio, senza che la storia ne risenta minimamente, e un editor serio lo avrebbe fatto anche se davanti c'era Murakami. Anzi possiamo tranquillamente prendere spunto dal libro stesso e così come “Tengo” riscrive il libro a “Fukaeri”, qualcuno doveva riscrivere il libro all'autore. Un totale di 1100 pagine di noia, di personaggi al limite del ridicolo come i “Little People” (che addirittura cantano Oh-oh-oh, come i sette nani di biancaneve) e vogliamo parlare di Gargamella/santone che stupra bambine/puffette? Vogliamo aggiungerci “mother”, “daughter”, “perciever”, “reciever”? I continui riassunti messi nelle pagine iniziali nei capitoli per ragguagliarci a che punto siamo nella storia? I personaggi sembrano usciti da un manga porno a sfondo sessuale, soprattutto quando indugia in gratuite e superflue descrizioni sessualmente esplicite (in ciò rivelandosi molto “giapponese” soprattutto per la morbosa attrazione che in tale cultura giocano le “lolite”) che però e qui è davvero da ridere fa da contraltare all'amore assoluto nato a nove anni in una classe elementare dopo una stretta di mano tra due bambini; vogliamo metterci i continui riferimenti alla grande narrativa russa a cui spesso si fa riferimento ma che manca assolutamente della loro potenza morale? Spesso mi sono ritrovato a pensare che mancavano solo i marziani con le antennine verdi. Davvero ridicolo.
Come sempre buona la difficile traduzione dal giapponese, un valore aggiunto per un libro davvero sciatto e privo di valore letterario.
Direi che siamo ai confini della genialità dove però sconfiniamo nella confusione: sembra una favola per bambini pruriginosi, banale, perché davvero i fatti non ci sono o non hanno senso alcuno, i colpi di scena tantomeno, le invenzioni narrative sono scontate. Leggerlo è come leggere una cosa di cui non ti interessa, ma lo fai per dovere all'autore che hai sempre apprezzato: “Aomame” quella che dovrebbe essere “un killer che in minigonna e tacchi a spillo, con una tecnica micidiale e impalpabile, vendica tutte le donne che subiscono una violenza, “Tengo” sembra una specie di “Rian Man” ma grosso come un lottatore, la vecchia signora ricca che sembra reclutata nella Spectre, la guardia del corpo gay che legge “Alla ricerca del tempo perduto” di Proust, etc... etc... etc...
In definitiva, secondo me, leggetevi “Norvegian Wood” o “After Dark”. Questa è stata solo una notevole fatica e perdita di tempo per arrivare in fondo.
1Q84 è un romanzo dello scrittore giapponese Haruki Murakami, apparso originariamente in tre volumi: i primi due sono stati pubblicati nel maggio 2009 e solo nel primo mese è stato venduto più di un milione di copie. Il terzo volume è apparso nell'aprile 2010. Il titolo è un omaggio a 1984 dello scrittore inglese George Orwell; la lettera «Q» del titolo ha la stessa pronuncia del numero 9 (kyuu) in giapponese. La «Q» è anche un riferimento esplicito al “Question mark”, in inglese “punto interrogativo”, come spiegato all'interno del libro.
La sinossi è la seguente: Tokyo, 1984. Aomame è un'assassina spietata e fragile. In minigonna e tacchi a spillo, vendica tutte le donne che subiscono violenza, con una tecnica micidiale e invisibile. Tengo è un ghost writer che deve riscrivere un libro inquietante, pericoloso come una profezia. Entrambi si giocano la vita in una storia che sembra destinata a farli incontrare. Ma quando Aomame vede sorgere in cielo una seconda luna, capisce che, forse, non potranno condividere neppure la stessa realtà...
Il tema centrale di 1Q84 è infatti la storia d'amore tra Tengo e Aomame, vissuta prevalentemente nell'intrecciarsi e nel rincorrersi dei ricordi dei due protagonisti. Motivi come la lontananza, la sparizione e la ricerca sono tra loro strettamente interconnessi; tutti i personaggi principali si cercano, anche se tale quest avviene su diversi piani simbolici come il sogno, la premonizione, il ricordo. Altri temi sono: la morte, la storia, la religione, la violenza, la famiglia. La struttura narrativa si basa, come per molti romanzi di Murakami, su due plot che avanzano in parallelo, con rimandi e connessioni incrociate; spesso gli eventi di una trama hanno una ripercussione immediata nell'altra.
E dopo questa presentazione con un'analisi della struttura e dei contenuti andiamo alle considerazione personali: ho letto molto Murakami, apprezzando sempre e molto la sua parte “onirica” che sempre viene associata all'autore e non si può farne a meno leggendo molti dei suoi racconti, che siano brevi o siano romanzi. Nulla è cambiato neanche riguardo allo stile tipico di Murakami come sempre preciso nel descrivere gli stati d'animo e nel comunicarli al lettore, lo stile di scrittura è pieno e trascina il lettore in una stanza buia dove sullo schermo dell'immaginazione proietta la storia, i personaggi e le emozioni. Ma.
Ma questo libro è una enorme cloaca a cielo aperto. Un immondezzaio puzzolente, una delusione. Direi che la metà delle pagine si possano eliminare, così senza battere ciglio, senza che la storia ne risenta minimamente, e un editor serio lo avrebbe fatto anche se davanti c'era Murakami. Anzi possiamo tranquillamente prendere spunto dal libro stesso e così come “Tengo” riscrive il libro a “Fukaeri”, qualcuno doveva riscrivere il libro all'autore. Un totale di 1100 pagine di noia, di personaggi al limite del ridicolo come i “Little People” (che addirittura cantano Oh-oh-oh, come i sette nani di biancaneve) e vogliamo parlare di Gargamella/santone che stupra bambine/puffette? Vogliamo aggiungerci “mother”, “daughter”, “perciever”, “reciever”? I continui riassunti messi nelle pagine iniziali nei capitoli per ragguagliarci a che punto siamo nella storia? I personaggi sembrano usciti da un manga porno a sfondo sessuale, soprattutto quando indugia in gratuite e superflue descrizioni sessualmente esplicite (in ciò rivelandosi molto “giapponese” soprattutto per la morbosa attrazione che in tale cultura giocano le “lolite”) che però e qui è davvero da ridere fa da contraltare all'amore assoluto nato a nove anni in una classe elementare dopo una stretta di mano tra due bambini; vogliamo metterci i continui riferimenti alla grande narrativa russa a cui spesso si fa riferimento ma che manca assolutamente della loro potenza morale? Spesso mi sono ritrovato a pensare che mancavano solo i marziani con le antennine verdi. Davvero ridicolo.
Come sempre buona la difficile traduzione dal giapponese, un valore aggiunto per un libro davvero sciatto e privo di valore letterario.
Direi che siamo ai confini della genialità dove però sconfiniamo nella confusione: sembra una favola per bambini pruriginosi, banale, perché davvero i fatti non ci sono o non hanno senso alcuno, i colpi di scena tantomeno, le invenzioni narrative sono scontate. Leggerlo è come leggere una cosa di cui non ti interessa, ma lo fai per dovere all'autore che hai sempre apprezzato: “Aomame” quella che dovrebbe essere “un killer che in minigonna e tacchi a spillo, con una tecnica micidiale e impalpabile, vendica tutte le donne che subiscono una violenza, “Tengo” sembra una specie di “Rian Man” ma grosso come un lottatore, la vecchia signora ricca che sembra reclutata nella Spectre, la guardia del corpo gay che legge “Alla ricerca del tempo perduto” di Proust, etc... etc... etc...
In definitiva, secondo me, leggetevi “Norvegian Wood” o “After Dark”. Questa è stata solo una notevole fatica e perdita di tempo per arrivare in fondo.
Lo scheletro impossibile è un romanzo di fantascienza di James Patrick Hogan, scritto nel 1977, ed è il primo di cinque episodi della serie chiamata “Ciclo dei giganti”. Solo tre di questi sono stati pubblicati in Italia e tutti nella collana Urania edita da Mondadori e distribuita solo nelle edicole.
L'idea e la trama del libro sono davvero entusiasmanti: nel XXII secolo (ricordiamo che il libro è stato scritto negli anni settanta), una squadra di scienziati in missione sulla Luna scopre casualmente una tuta spaziale contenente uno scheletro umano risalente a 50000 anni fa. Analizzando i resti biologici e gli oggetti che il misterioso individuo aveva con sé, i protagonisti scoprono una serie di indizi che sconvolgeranno ogni teoria precedente sull'origine della razza umana.
A volte dei libri o delle storie più in generale, si apprezza moltissimo l'idea che li genera piuttosto che lo sviluppo o l'evolversi della stessa nel proseguo della lettura. Direi che è questo il caso, se lasciamo da parte certe teorie scientifiche ormai superate, le informazioni divulgate e inserite come dialoghi tra i vari personaggi talvolta un po' troppo pesanti, e una certa ingenuità di base... otteniamo una storia tutto sommato rilassante, piacevole e divertente.
Dopo un inizio alquanto misterioso e il continuo inserimento di elementi e dati all'apparenza del tutto scollegati tra loro, la vicenda prende corpo e, sfruttando teorie scientifiche quasi plausibili, il lettore è attirato sempre più all'interno della storia con la curiosità di andare a vedere come tutto verrà alla fine spiegato: ovviamente con un bel finale “a sorpresa”, ben congegnato e servito al momento giusto.
Messo tutto insieme otteniamo una bella scenografia per un'avventura fantascientifica non da lode assoluta, ma sicuramente intrigante quanto basta.
“Scatola nera” è un'originalissima spy story scritta dall'autrice Premio Pulitzer di “Il tempo è un bastardo”, Jennifer Egan. E' una storia nata per essere pubblicata su Twitter, ossia scandita in brevi porzioni di testo non più lunghe di 140 caratteri. Minimum Fax, attraverso il proprio account, twitta il libro della Egan, tradotto dal bravissimo Matteo Colombo (un impresa tutt'altro che facile la sua), al ritmo di un cinguettio al minuto; razioni di testo tornano ad avvicendarsi negli spazi ristretti del social network fino al 31 ottobre.Poi il tutto viene digitalizzato e pubblicato dalla stessa casa editrice.
Scatola nera è un intrigante esperimento letterario con una trama da perfetta spy story: in un futuro non troppo lontano, la lotta al terrorismo cambia le regole e a difendere gli Stati Uniti non sono più corpi speciali di agenti segreti, ma comuni cittadini che si offrono volontari per singole missioni. E così l'eroina del racconto si ritrova a infiltrarsi nell'harem di un misterioso miliardario dedito al crimine internazionale, per sottrargli dei dati di enorme importanza.
“Scatola nera” è una specie di manuale di istruzioni per spie, che però si dipana contemporaneamente all'operazione. «Se una persona ti ha sparato mancandoti, neutralizzala prima che possa sparare di nuovo». Non sappiamo chi sia a dare le istruzioni, non sappiamo dove la storia si svolga, sappiamo che è in un futuro prossimo, dove c'è la possibilità di usare la tecnologia per migliorare il proprio corpo come avere connessioni nascoste sotto pelle tra le dita dei piedi, la possibilità di usare il corpo come luogo dove scaricare i dati sottratti, poter registrare conversazioni con l'udito o scattare fotografie con il flash con gli occhi.
I periodi, limitati dal limite dei 140 caratteri in puro stile Twitter sono incisivi e diretti, ognuno è un frammento a sé, ogni frase, ed ha un valore puro e finito nella sua dimensione, ma collegati con tutti gli altri. Il tutto, sembra strano, funziona e convince davvero, rendendo questo micro libro una storia di spionaggio intensa, accattivante, lineare e coerente.
“Scatola nera” è un piccolo capolavoro che merita di essere letto perchè sapra sorprendervi e inchiodarvi alla poltrona per quel poco tempo che ci metterete a finirlo.
Relic è un romanzo del 1995 di Lincoln Child e Douglas Preston. È in ordine cronologico la prima avventura che ha per protagonista l'agente dell'FBI Aloysius Pendergast, che ha dato inizio alla lunga serie di romanzi con protagonista questo speciale agente del FBI.
Il libro è ambientato all'interno del museo di Storia Naturale di New York, dove la ricercatrice Margo Green sta aiutando il dottor Frock ad organizzare “Superstizione”, una grande mostra per incrementare le esigue finanze dello stesso. Pochi giorni prima dell'inaugurazione, all'interno del museo vengono trovati i corpi orribilmente mutilati di due bambini e, solo qualche giorno dopo, viene uccisa una guardia. Il tenente D'Agosta e l'agente speciale Pendergast dovranno indagare insieme per trovare il colpevole e salvare il museo da quella che potrebbe essere la sua fine.
La trama è un miscuglio tra indagini e scienza (fantascienza per lo più), leggende e superstizioni, un thriller a sfondo horror che strizza l'occhio anche allo stile avventuroso dove l'assassino è una belva feroce, ultimo superstite di una specie estinta. Diciamo che molte parti appaiono leggendole oggi molto superate (descrizioni pc, reti informatiche, etc...) e altri concetti scientifici sono tirati per le orecchie, ma lo stile è divertente, i personaggi credibili e Pendergast è eccentrico al punto giusto da risultare simpatico e accattivante.
I punti di forza del romanzo sono: l'ambientazione, con l'inserimento delle tante citazioni che spaziano dall'antropologia alla botanica alla paleontologia senza però annoiare il lettore, il nemico da fronteggiare e la figura dell'agente speciale Pendergast, “eroe” non nuovo in sé, ma innovativo nel suo rapporto col contesto in cui si muove, ovvero quello dell'FBI, solitamente popolato da melodrammatici personaggi alle prese con i vari serial killer. Anche il finale, piuttosto inaspettato, sorprende e getta le basi per il successivo romanzo “Reliquary”.
Esistono però dei punti di debolezza come l'impianto narrativo in alcune parti piuttosto grezzo, forse in quanto opera prima, e il fatto che non sempre si riesce a tenere sul chi vive il lettore, che rischia in alcuni punti di annoiarsi un po'.
Un thriller che esce dai soliti canoni e che apre la strada alla lunga serie di romanzi di Preston e Child con protagonista l'agente speciale Pendergast che sebbene pecchi in alcuni punti e non convince fino in fondo, sicuramente invoglia il lettore a cercare e al leggere i successivi.
“Ultime lettere di Stalingrado” è una raccolta di 39 lettere scritte dai soldati tedeschi nell'ultimo periodo della battaglia di Stalingrado nel dicembre 1942, partite con l'ultimo volo dalla sacca dove combattevano gli ultimi uomini della sesta armata tedesca prima di venire completamente accerchiati dalle forze russe in avanzata. Gli scritti non giungeranno mai a destinazione perché censurate dai comandi tedeschi con l'intento di conoscere lo stato d'animo della fortezza di Stalingrado; la raccolta di tali scritti doveva offrire materiale al fine di una pubblicazione sulla battaglia ma l'ufficio della propaganda, ne vietò la divulgazione in quanto “insopportabile per il popolo tedesco” e ne ordinò la distruzione.
La battaglia di Stalingrado con oltre 1 milione di perdite totali tra morti, dispersi e prigionieri definisce i duri combattimenti svoltisi durante la seconda guerra mondiale che, tra l'estate del 1942 ed il 2 febbraio 1943, opposero i soldati dell'Armata Rossa alle forze tedesche, italiane, rumene ed ungheresi per il controllo della regione strategica tra il Don e il Volga e dell'importante centro politico ed economico di Stalingrado (oggi Volgograd), sul fronte orientale.
I viveri ed i rifornimenti sono sempre più scarsi, i feriti non possono essere più curati ne evacuati, cominciano i primi tentativi di diserzione ed i primi casi di suicidio. In quello che i soldati tedeschi chiamano “il calderone” c'è chi riesce ancora a scrivere a casa cercando un conforto od anche semplicemente un addio ai propri cari in Germania. Il libro contiene 39 lettere, o frammenti di lettere, che i soldati scrissero nei momenti di pausa della battaglia. Sono scritti in cui tra le righe si riesce a leggere non solo la diversità degli uomini ma anche del loro stato d'animo e del loro carattere: si va dal figlio dell'ufficiale di stato maggiore che non capisce più il perché dell'azione militare al giovane padre di un bambino appena nato con la paura di non vederlo mai; dal figlio di un Pastore protestante che non trova Dio nell'orrore che lo circonda al soldato che ha perso la speranza e che aspetta la morte con consapevole rassegnazione.
Non tutte le lettere sono complete o leggibili (alcune sono state ritrovate danneggiate) ma forniscono in ogni caso una forte ed autentica testimonianza di uno degli avvenimenti più tragici della storia moderna.
Fa un certo effetto leggere a distanza di più di sessant'anni parole scritte da giovani uomini destinati consapevolmente alla morte che non fa differenze in base a colori delle divise, ideologie giuste o sbagliate, buoni o cattivi; lei falcia indistintamente e non sorprende più di tanto come i pensieri e le parole di quei votati al disastro siano verso i sentimenti più semplici come l'amore per una donna, per una mamma, per un gatto, di come ci si preoccupi di lasciare tutto in ordine e a posto e si pensi alle piccolezze della vita di tutti i giorni di fronte alla fine eterna.
Un altro commovente e prezioso tassello che si aggiunge alla mia parte di libreria dedicata agli orrori e alla stupidità della guerra, che per qualsiasi cosa si combatta è comunque una sconfitta già in partenza.
“La peste” è un romanzo dello scrittore francese Albert Camus del 1947. Appena pubblicata, l'opera riscosse un grande successo (oltre 160.000 copie vendute nei primi due anni), ottenendo tra l'altro il Prix de la Critique. La peste rientra nella produzione di Camus definita “ciclo dell'assurdo”, che include anche un'altra celebre opera dello scrittore francese, “Lo straniero”.
La città algerina di Orano è colpita da un'epidemia inesorabile e tremenda: la peste. Dopo la chiusura delle porte si troverà isolata dal resto del mondo, affamata, incapace di fermare la pestilenza, diventerà una bolgia infernale un banco di prova per tutti gli animi umani. La fede religiosa, l'edonismo di chi non crede alle astrazioni, ma neppure è capace di “essere felice da solo”, il semplice sentimento del proprio dovere sono i protagonisti della vicenda insieme ai personaggi quali il dottor Rieux, Tarrou e Rambert. Narratori con le loro vicende dell'inabissarsi di una città intera verso il fondo della ragione.
Camus, come gia' fatto nello “Straniero”, mette in un mostra tutta la sua maestria nell'arte dello scrivere. Con un bisturi molto affilato seziona lo squallore, la disperazione e la rassegnazione, ma anche il valore e il coraggio dei singoli. La peste è il male che ci attanaglia, come epidemia nella nostra storia (come altre epidemie) e nell'esistenza di ognuno di noi: è il dolore che combattiamo ogni giorno, pur sapendo che ogni vittoria ottenuta non è mai completamente capace di debellarlo.
In ogni caso, personalmente ho trovato questo romanzo inferiore a “Lo straniero”, forse per via della scrittura più lenta, di un ritmo poco serrato che mi ha rallentato nella lettura, anche se sono rimasto anche questa volta profondamente affascinato dalla scrittura di Camus.
Ennesimo libro che leggo sui gatti, questo consigliatomi dalla mia veterinaria, ed ennesima ripetizione in ridondanza degli stessi concetti e consigli comuni a tutti questi libri.
La mia idea dopo averne letti quattro è la seguente: limitatevi a comperarne uno, tipo Cats for Dummies, il migliore secondo me e poi imparate ad ossevare il vostro micio, interagite con lui e solo l'esperienza diretta della vostra vita vissuta insieme a lui potrà farvi da maestro per tutte le gioie e i problemi che affronterete insieme.
Esistono anche, incredibile a dirsi, luoghi dove i libri non possono arrivare.
Fuga dal campo 14 è un romanzo di Shin Dong-hyuk, che è un esule nordcoreano residente in Corea del Sud. Si tratta dell'unica persona conosciuta che sia riuscita a fuggire da un campo di concentramento del suo Paese e sia sopravvissuta per raccontarlo. Si crede che sia anche l'unica persona nata in un campo di prigionia riuscita a lasciare la Corea del Nord e questo libro è la sua testimonianza autobiografica.
Il romanzo è scritto a quattro mani, o meglio è un'elaborazione delle interviste durate mesi da parte del giornalista statunitense Blaine Harden. Shin, spesso accompagnato da Harden, è stato relatore nell'ambito di conferenze in tutto il mondo per parlare della sua vita nel Campo 14, del totalitarismo nordcoreano e di diritti umani, in modo da sensibilizzare le persone riguardo alla situazione dei prigionieri in Corea del Nord.
Shin, prigioniero perchè uno zio scappò in Corea del Sud, durante gli anni cinquanta, è nato nel campo di internamento di Kaechon (Campo 14): si tratta di un campo di lavoro forzato dove i prigionieri scontano condanne a vita e in cui la durata media della vita è di 45 anni. Nato da due prigionieri che erano stati autorizzati a dormire insieme per un paio di notti all'anno come ricompensa per il buon lavoro, Shin visse con la madre, fino all'età di 12 anni e vide in poche occasioni il padre.Impara a sopravvivere con ogni mezzo, anche mangiando rane, ratti e insetti e segnalando la cattiva condotta di altri prigionieri in cambio di premi da parte delle guardie. All'età di 13 anni sente la madre e il fratello pianificare un tentativo di evasione: Shin riferirà il fatto, così come gli era stato insegnato sin dalla tenera età e li vedrà morire entrambi, odiandoli, dopo essere stato torturato lui stesso. Shin poi conoscerà un prigioniero politico quarantenne di Pyongyang che gli racconterà la verità sul mondo al di fuori del Paese. Deciderà così di scappare e dopo aver attraversato il confine con la Cina, approderà al mondo libero.
Dovendo dare un giudizio a questo libro, credo bisogna scindere quest'ultimo in due parti: una prima che riguarda il romanzo in sè, ovvero la storia di Shin e la sua fuga (che non è poi così di primo aspetto nel romanzo stesso), e la seconda inerente l'inchiesta che sta dietro ai campi di prigionia in Nord Corea (infarcita di dati a riguardo). Diciamo che come strumento di conoscenza, di reportage degli orrori di questi campi, do una valutazione più che ottima, per il romanzo in sé il giudizio non può essere così positivo, la storia è appunto un susseguirsi di trascrizioni dei ricordi di Shin, intervallati da molto altro, e in più il tutto è raccontato in terza persona, che a mio parere impoverisce un po' la storia.
Sebbene questo libro porta a conoscenza dei più, o almeno a chi abbia voglia di informarsi leggendolo, una delle più grandi tragedie umane che si perpetrano anche in questo momento senza che nessuno faccia niente, di per sé il romanzo mi è piaciuto ma non mi ha entusiasmato per le ragioni sopra descritte. Bellissimo come libro reportage/inchiesta, molto meno come romanzo.
“Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?” è il primo romanzo di Johan Harstad, pubblicato in Norvegia nel 2005 ed in Italia nel 2008, dalla Iperborea di Milano, la nota casa editrice che porta presso di noi moltissimi autori del nord europa. È stato un libro di grande successo, tradotto in numerose lingue e pubblicato in molti paesi del mondo. A me è stato consigliato come sempre dalle ragazze dell'Iperborea durante la mia visita annuale al Salone del Libro di Torino; anche questa volta, consiglio azzeccato.
La trama è molto particolare e parte in maniera caleidoscopica: Che ne è stato di Buzz Aldrin? Chi si ricorda del secondo uomo che ha messo piede sulla luna dopo Neil Armstrong? Per Mattias, nato in quella mitica notte del 20 luglio 1969, il capitano Edwin “Buzz” Aldrin è un idolo, simbolo di tutti coloro che svolgono il loro compito e spariscono nella folla, contenti di fare la loro parte, essere una ruota dell'ingranaggio. Non a tutti piace essere i primi, non tutti vogliono dirigere un'azienda, andare in tv, diventare famosi. A qualcuno piace essere invisibile, qualcuno vuole essere la segretaria che resta fuori dalle porte della riunione. Qualcuno vuole vedere il film, non esserci dentro.
Mattias non è ad Armstrong che guarda, ma a Buzz Aldrin, il secondo uomo, quello che tutti dimenticano, quello che vuole farsi dimenticare, e sparisce nella folla. La vita di Mattias sta crollando, le sue sicurezze vengono meno e, per una serie di eventi, egli si ritrova a vivere alle Isole Fær Øer, un posto dal quale tutti fuggono, insieme ad alcuni ex pazienti psichiatrici. Lì, ai confini del mondo, ci accompagnerà nel suo intimo percorso di crescita e di evoluzione.
Credo che solo l'ambientazione di questo romanzo meriterebbe una recensione a parte, le isole Faroe: natura incontaminata e cultura autentica, il baluardo più a Nord della Danimarca, immerse nell'Oceano Nord Atlantico, tra paesaggi mozzafiato e pittoreschi villaggi di pescatori. Formate da 18 isole montagnose e abitate da appena 50.000 persone, le affascinanti Isole Faroe sono un vero e proprio paradiso naturalistico, popolato da innumerevoli specie di uccelli e ricchi greggi di pecore. Montagne e fiordi, per un'isola dove neanche gli alberi crescono.
Il romanzo è molto bello e pieno di sensibilità, la scrittura elegante e avvincente, nonostante la storia da raccontare non sia proprio semplice: disagio mentale e sociale, si parla di disperazione e sensi di vuoto, della fragilità degli esseri umani, di come il tempo e gli eventi possano consumare tutte le sicurezze e portarci via ciò che ci è più caro, di come a volte neanche nascondersi dalla vita può salvarci, di come insomma vivere può essere duro, del mare che può salire, sfondare le finestre e soffocarci.
Se proprio vogliamo trovare qualcosa di negativo, possiamo dire che la parte centrale stenta un poco, si allunga un po' troppo, ma poi si riprende in fretta e ad ogni modo il tutto scorre via velocemente.
Mattias, rappresenta quello che in molti siamo: eterni secondi, magari con un talento nascosto che non vogliamo o non siamo capaci di mostrare, consci delle proprie capacità e molte volte inadatti a combattere per la supremazia. Per essere i primi bisogna dare una spinta ad Armstrong. Aldrin ci pensa, ma non lo fa. Mattias lo sa e per non farlo si ritira nella solitudine col desiderio di scomparire. Molti si accontentano di essere semplici ingranaggi che girano, facendo il loro lavoro ottimamente, costruendo una famiglia amorevole, avendo pochi e selezionati amici.
Un inno al non apparire in una società ossessionata dal protagonismo. Consigliato.
Il labirinto (The Maze Runner), è un romanzo fantascientifico per ragazzi del 2009 dello scrittore statunitense James Dashner, primo capitolo della serie The Maze Runner, formata da quattro romanzi ambientati in un futuro post apocalittico distopico. Dal romanzo è stato tratto un film del 2014, Maze Runner - Il labirinto per la regia di Wes Ball, nelle sale a breve.
Il labirinto è stato pubblicato negli Stati Uniti nell'ottobre 2009 ed è stato edito in italiano la prima volta l'1 giugno 2011 e poi ritradotto per l'imminente uscita del film, il 28 agosto 2014 in una nuova edizione. Ha avuto due seguiti, “La fuga - Maze Runner” e “La rivelazione - Maze Runner”, e un prequel, The Kill Order del 2012, ancora inedito in Italia.
Il protagonista è Thomas che si risveglia nella Radura, al centro di un grandissimo labirinto, insieme ad altri ragazzi che sono lì già da tempo e si sono organizzati per sopravvivere. Quando si sveglia, non ricorda come ci sia arrivato, né alcun particolare del suo passato, a eccezione del proprio nome di battesimo. L'ambientazione è un ampio spazio limitato da invalicabili mura di pietra, che non lasciano filtrare neanche la luce del sole. L'unica certezza dei ragazzi è che ogni mattina le porte di pietra del gigantesco Labirinto che li circonda vengono aperte, per poi richiudersi di notte. Al suo interno delle creature mostruose che cercano di ghermire i ragazzi che tentano di trovare l'uscita dal labirinto. Il mistero si infittisce un giorno, quando – senza che nessuno se lo aspettasse – arriva una ragazza. È la prima donna a fare la propria comparsa in quel mondo, ed è il messaggio che porta con sé a stupire, più della sua stessa presenza. Un messaggio che non lascia alternative.
Com'è facile intuire parliamo di un libro young adult del filone dispotico, della serie “Hunger Games”, “Divergent” e così via... che ultimamente hanno sempre più successo; questo è il primo di una serie, quindi il finale rimane apertissimo. Devo dire che ciò che mi ha spinto a leggere questo libro (oltre alla curiosità suscitami dai trailer del film) è stato il tema del labirinto, che però speravo avesse una un ruolo più preponderante nella trama e fosse un po'più enigmatico e meglio sviluppato. Mi affascinava la storia di fondo e l'idea che dava propulsione a tutto mi incuriosiva molto.
Però mi sono ritrovato tra le mani un libro che ha davvero molte pecche, troppe a mio avviso: mancano personaggi convincenti e gli stessi protagonisti sono definiti male, le tre o quattro figure centrali poi sono lo stereotipo dei ragazzi o troppo svegli, o troppo bulli, o troppo idioti. Gli altri non sono pervenuti. Il modo di scrivere è molto approssimativo, la narrazione risulta poi ripetitiva, lenta e alla lunga noiosa, nonostante si nota che l'autore cerchi di renderla convincente. Il gergo parlato dai ragazzi nella radura (ce n'era davvero bisogno?) è irritante all'inverosimile, esempio lampante è chiamare “sploff” la merda, (dal rumore che fa quando cade nel cesso), una cacofonia orrenda. Velo pietoso sul resto.
Credo che la storia sia l'esempio lampante di come un libro davvero mediocre, possa trasformarsi in un film di successo, ma solo tra un pubblico relativamente giovane, cresciuto con Harry Potter e trasportato negli Hunger Games.
Da evitare a tutti gli altri.
La boutique del mistero è un'antologia di racconti di Dino Buzzati, pubblicata per la prima volta nel 1968 da Mondadori, la raccolta nasce come selezione dei trentuno racconti più rappresentativi dell'opera di Buzzati, autore indimenticato del “Deserto dei Tartari”, i quali rappresentano al meglio tutte le tematiche più care all'autore come la solitudine, la paura, l'angoscia e vari paradossi dell'età contemporanea narrati con uno stile magico e surreale.
In questi 31 racconti i principali temi sono la paura dell'uomo di dire le cose chiaramente agli altri e la paura del diverso (Sette piani, Il cane che ha visto Dio); l'inquietudine dell'animo umano (Eppure battono alla porta, I topi, Il colombre); l'angoscia dell'infinito e dell'irraggiungibile (Sette messaggeri); la tristezza (Il mantello, Inviti superflui, Il tiranno malato); la semplicità (Una goccia); il mistero (Qualcosa era successo); l'invidia, la poesia e il senso pratico della vita (I Santi, Inviti superflui, La fine del mondo); i sogni e le delusioni (La Torre Eiffel, Ragazza che precipita)
La boutique del mistero è un distillato dell'uomo e dello scrittore Buzzati che ci fa comprendere un po' meglio una mente straordinariamente profonda e creativa come la sua; solo recentemente si è arrivati a comprendere che è stato uno tra i più significativi scrittori italiani: già dalla scrittura si capisce che siamo davanti ad un autore che meritava il nobel, vogliamo poi parlare della fantasia sfrenata che esce preponderante da queste pagine?
Con una scrittura scorrevole, Buzzati ci propone storie allegoriche su quasi tutte le situazioni umane; racconti metafisici che scardinano la realtà per farci riflettere sulla nostra condizione terrena e cercare di farci vivere meglio. I racconti che più ho apprezzato sono stati: “I Sette Messageri”, “Sette piani”, “Il mantello”, “Una goccia”, “Qualcosa era successo”, “Lo scarafaggio”, “Il colombre”, “La giacca stregata”.
Consigliato sicuramente a chi ha apprezzato “Il deserto dei Tartari” e a chi ama i racconti.
La morte paga doppio è un romanzo noir del 1943 di James Cain. Ispirato a un caso di cronaca, il romanzo venne trasposto sul grande schermo in una rinomata pellicola di Billy Wilder, che nella versione italiana s'intitola (come la prima edizione del libro stesso) “La fiamma del peccato”. Sono passati molti decenni dalla sua pubblicazione, ma è un testo che si legge ancor oggi in maniera perfetta. Cain è lo stesso autore de “Il postino suona sempre due volte”.
La trama: Hollywood, fine anni trenta. Il cinico agente assicurativo Walter Huff si invaghisce di Phyllis, moglie di Nirdlinger, uno dei suoi clienti.
Tra i due sorge una torbida relazione: con la complicità dell'amante, Walter ordisce un piano per far sottoscrivere a Nirdlinger una polizza sulla vita, poi organizza un incidente simulato, facendo credere che l'uomo sia accidentalmente caduto da un treno in corsa. Nonostante il piano sia stato congegnato fin nei minimi dettagli, subito dopo l'omicidio le cose inizieranno a complicarsi.
Lo stile è limpido, asciutto, immediato, con grandi spazi ai dialoghi, che rende la trama affascinante, tesa e vibrante e addentra il lettore in una storia per nulla banale e scontata; è un noir perfetto, architettato in modo impeccabile, anche se il tema ripropone quello dell'omicidio finalizzato a riscuotere il capitale di una polizza vita.
Probabilmente è la prosa di Cain che è davvero unica e rende tale anche il romanzo. I personaggi di questo breve noir sono perfettamente tratteggiati e le vicende narrate vengono percepite dal lettore come le scene di un film, come in effetti poi è stato fatto, rendendolo probabilmente uno dei pochi casi in cui il film arriva a reggere il confronto con il libro.
Sicuramente se siete appassionati lettori di noir avrete già letto questo titolo, e se non lo siete potete sicuramente permettervi di spendere poche ore per leggere una storia che di certo non vi annoierà. Compratelo ad occhi chiusi e divoratelo tutto d'un fiato.
E Johnny prese il fucile è un romanzo dello scrittore statunitense Dalton Trumbo del 1939. Questo libro è un'atroce requisitoria contro la guerra, un grido di pietà ed indignazione, un attacco alla scienza e all'esercito, ed infine anche un'interrogazione sull'esistenza di Dio. Venne realizzato anche un film nel 1971 scritto e diretto dallo stesso Trumbo, vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria al 24º Festival di Cannes.
Antifascista e soprattutto antimilitarista, Trumbo scrive questo libro simbolo del pacifismo e contro ogni tipo di guerra nel 1938, ispirandosi ad un fatto realmente accaduto. Il libro uscì nel 1939, quando ormai gli americani stavano per intervenire nel secondo conflitto mondiale, ma dopo l'episodio di Pearl Harbour fu ritirato dalle librerie ed occultato ai più. Fin dal momento della sua pubblicazione è stato strumentalizzato da entrambi gli schieramenti politici, criticato, e addirittura deriso. Persino in Italia, fino a qualche anno fa, recuperare una copia di questo libro poteva essere molto, molto difficile.
Colpito da una cannonata nell'ultimo giorno della prima guerra mondiale del 1914-18, Joe Bohnam soldato americano diciannovenne, perde gambe, braccia e parte del viso: cioè vista, olfatto, udito e parola, diventando un troncone di carne pensante. Ricoverato in un ospedale militare e mantenuto in vita da macchinari che lo alimentano e gli permettono di respirare, Johnny prenderà lentamente coscienza della propria condizione. Mente imprigionata in un corpo che ormai non ha più nulla di umano, ripercorrerà alcuni dei momenti più intensi del suo passato (pregne di “vita idealizzata” in puro stile “casa nella prateria”), fino alla conquista, ma che sarà del tutto amara, della comunicazione con il prossimo.
Il fulcro del romanzo poggia essenzialmente sulla requisitoria contro la guerra e contro la propaganda governativa che costringe uomini e ragazzi ad andare verso la morte per dei concetti del tutto vani secondo Trumbo, di parole idealizzate come “onore” e “libertà”; queste sono le parti in cui il ritmo procede molto lentamente e i concetti si avvitano su se stessi, ripetendosi più e più volte, diventando per il lettore parole ridondanti che fanno perdere “potenza” ai concetti che si vogliono trasmettere.
Le parti più toccanti e meglio riuscite sono quelle in cui l'autore cerca di far entrare il lettore nella condizione estrema di vita di Johnny parlando di solitudine, di isolamento, del bisogno di comunicare e di avere un contatto umano con il prossimo, di sentirsi lui stesso ancora umano. Non mi trova d'accordo con gli altri lettori il concetto della voglia di vivere estrema del protagonista, anzi io ho ravvisato esattamente il contrario.
Per concludere, questo libro è sicuramente uno dei maggiori esempi di manifesti antimilitaristi esistenti, ma rimane principalmente quello o poco più. La storia, le vicende del protagonista con i suoi pensieri, la sua vita prima e dopo aver indossato l'uniforme, è più un contorno (molto ben presentato) per veicolare le idee dell'autore. Devo ammettere che mi ha deluso un poco e ho trovato migliori altri romanzi che raccontano le tragedie della guerra, vedi Remarque, Stern, Barbusse, Malaparte.
Sembra sempre molto facile recensire i libri che non ci sono piaciuti, insomma uno scrive due righe, qualcosa del tipo “non pensate neanche a comperare una questo libro” e poi tira diritto per la sua strada verso la prossima lettura. Solo che entrano in gioco molti fattori che lì per lì non pensi, del tipo “questo libro è piaciuto a tutti”, “guarda lì che recensioni e che votazioni”, “come giustifico il fatto che questo libro proprio non l'ho digerito”, e via discorrendo.
Ormai avrete intuito che questa raccolta di racconti non mi ha entusiasmato per nulla e sono qui a cercare di spiegarvi il perché questo autore che è stato un giornalista e scrittore svedese, talentuoso, sensibile e libertario mi abbia annoiato a morte e vorrei scrivere un sacco di belle parole per lui, che morto suicida a 31 anni, sopravvive comunque tutt'oggi come figura mitica della letteratura svedese. Ma non ci riesco.
Non mi vengono in mente molte spiegazioni logiche e parole a supporto delle sensazione che ho tratto da questa lettura, se non che: i racconti sono noiosi, pesanti, insensati, tristi di una tristezza ambigua, paludosa, senza sbocco alcuno. Dagerman ha una visione negativa e senza compromessi del mondo, sente gli uomini condannati senza colpa a soffrire in silenzio, incapaci di comunicare. Il tutto contornato da un mondo ostile e freddo, ma le situazioni diventano troppo irreali per mettere il lettore (o almeno me) nella condizione di partecipare a questa sofferenza.
Troppe sospensioni, troppe pause, troppe cose taciute e personaggi in attesa perenne, così come il lettore. Di sette racconti, ne salvo uno: “Lo sconosciuto”, perché sono riuscito ad entrare nella disperazione dei personaggi, la situazione anche se comunque irreale è “capibile”, “raccontabile”, “condivisibile”.
Si legge di disperazione senza nessuna speranza, ma non lascia il tempo di rendermi partecipe, di farla tramite la lettura in qualche modo mia, mi lascia solo un vuoto che non riesco a colmare perché non riesco a capirlo.
E continua a venirmi in menta la scena di “Tre uomini e una gamba” e “del mattone polacco minimalista di scrittore morto suicida giovanissimo! Copie vendute: 2”; neanche di questo riesco a dare spiegazione del perché.
“Uomini in guerra”, con una nuova traduzione dal tedesco, era un romanzo ormai introvabile da molto tempo. Pubblicato nel 1917, costò caro all'autore e divenne presto un successo internazionale tradotto in 19 lingue sebbene le nazioni coinvolte nella guerra facessero di tutto per bloccarne la diffusione e bandirlo. Il suo autore, lo scrittore e giornalista ungherese Andreas Latzko (1876-1943), combatte nel 1915-1916 come ufficiale dell'esercito austro-ungarico sul fronte italiano e viene gravemente ferito. Mandato al fronte sul fiume Isonzo si ammala di malaria e subisce forti attacchi; da quest'esperienza nasce “Uomini in guerra” pubblicato in Germania e poi tradotto in una ventina di lingue.
Forse il primo romanzo di denuncia sugli orrori del conflitto, che mette a nudo la verità della guerra. Il libro è un'opera costituita da sei racconti, in cui la crudeltà e l'assurdità della guerra è narrata attraverso la sofferenza fisica e psicologica dei personaggi. Sei storie durissime, il cui comune denominatore è il verificarsi di un evento rivelatore che fa scattare nella mente dei protagonisti una presa di coscienza. Un atto di denuncia in sei episodi scritto da Andreas Latzko, ufficiale dell'esercito austroungarico proprio durante la Grande Guerra.
Non tutti i racconti sono di alto livello, decisamente alcuni sono meglio di altri. Complice comunque una scrittura che risulta “datata” per i nostri occhi, molto roboante, pregna di patriottismo, di valori che suonano veramente fuori dagli spartiti moderni per il lettore di oggi (e ancor più utili per capire il pensiero dell'epoca). I più belli e coinvolgenti sono stati sicuramente: “Il camerata”, “Il battesimo del fuco”, “Il ritorno in patria”, il peggiore “Il vincitore”, veramente poco accattivante e noioso.
Sicuramente i migliori sono quelli dove le emozioni del soldato davanti alle atrocità della guerra vengono poste in primo piano: vacillano, vengono sconvolte da ciò che le circondano, finiscono preda di pazzie. Non mi stupisco di come questo libro sia stato messo alla berlina ai tempi della prima guerra mondiale, dove venivano mandati al macello come tanti buoi uomini che erano contadini, manovali, piccoli bottegai, infarciti di toni patriottici e del tutto alla mercé dei signori della guerra che per lo più non vedevano neanche una trincea se non disegnata su una carta geografica.
Non siamo davanti ad un capolavoro come “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, il miglior libro sulla prima guerra mondiale che ho letto, ma questi racconti aggiungono sicuramente un tassello in più per capire veramente quella che fu una delle più grandi tragedie dell'uomo con oltre 70 milioni di uomini mobilitati in tutto il mondo (60 milioni solo in Europa) di cui oltre 9 milioni caddero sui campi di battaglia e circa 7 milioni di vittime civili, non solo per i diretti effetti delle operazioni di guerra ma anche per le conseguenti carestie ed epidemie.
Ci sono libri sottili, che passano quasi inosservati, poco strombazzati e pubblicizzati, stanno sugli scaffali delle librerie in angoli bui, schiacciati da nomi molto più importanti ed invadenti, sembrano vivere solo per l'attimo in cui qualcuno venga catturato da loro, così per caso.
Il signor Cravatta è uno di questi, è un romanzo toccante, delicato, costruito con un linguaggio lieve, di ambientazione giapponese, ricco di temi quali la perdita e la solitudine, di quello che non diciamo e non facciamo, il nascondere e la vergogna, descrive il mondo di personaggi soli ed in difficoltà che però riescono a superare il momento di crisi tornando alla vita. Con una prosa evocativa, l'autrice porta in scena una narrazione in cui si alternano tenerezza, dolore e rimpianto.
Milena Michiko Flasar, di madre giapponese e di padre austriaco, vive a Vienna e scrive in tedesco. Il Giappone è il suo paese di riferimento. Dopo alcune raccolte di novelle, nel 2012, pubblica un romanzo breve, Il signor Cravatta , che ora l'Einaudi presenta nella puntuale traduzione di Daniela Idra.
Il libro affronta problemi cruciali del Giappone contemporaneo, come quello degli “hikikomori”, ragazzi e ragazze che, causa l'ansia da prestazioni a scuola e di aspettative in casa, si isolano interrompendo ogni contatto con famiglie e società, quello dei “salaryman”, gli uomini-salario sempre a rischio di “karoshi”, (decesso per superlavoro) o di licenziamento causa la crisi, quello del bullismo tra gli adolescenti nelle scuole. Più in generale racconta di perdite e di solitudine, ma con una speranza di redenzione, di rinascita finale.
I capitoli sono brevi, scritti come pagine di diario in cui il monologo interiore si insinua di continuo nella narrazione oggettiva, una piccola perla, una bellissima sorpresa.
Un libro molto intenso, scritto molto bene, di una scrittrice da non perdere di vista e da cercare ancora.
6.41 è l'ultimo libro dello scrittore francese Jean-Philippe Blondel, nato a Troyes nel 1964 insegnante d'inglese in una scuola superiore. Nel 2003 ha esordito con “Accès direct à la plage” e da allora ha pubblicato una decina di romanzi tra libri per adulti e per ragazzi.
Blondel sembra aver raggiunto l'apice del successo con questo racconto lungo di solo 136 pagine, nella versione italiana Enaudi impreziosito da una copertina molto azzeccata che invita all'acquisto. Il richiamo del viaggio in treno, evocatore di tempi sospesi e spesi magari proprio in compagnia di un buon libro, è sempre un forte impulso per qualsiasi lettore. Best seller in Francia, 6.41 racconta un momento che, in un modo o nell'altro, tutti abbiamo vissuto.
Il libro è una trasposizione scritta, a voci alternate, dei pensieri di Cécile e Philippe per tutto il viaggio da Troyes a Parigi: un incontro casuale, sul treno per Parigi delle 6.41, tra un uomo e una donna che molti anni prima si sono amati e odiati. L'imbarazzo e poi il silenzio freddo del viaggio. Ci sarà spazio, prima dell'arrivo, per un cenno di riconoscimento, di scuse o magari per un caffè? Dopo un week-end trascorso per dovere a casa dei genitori, Cécile sta rientrando a casa. È mattina prestissimo. Ma quando il treno sta per partire qualcuno le si siede accanto. Qualcuno con un'aria familiare. È invecchiato, eppure non ci sono dubbi che sia Philippe, con cui Cécile aveva avuto una storia ai tempi dell'università. Una storia durata poco e finita malissimo alla quale, però, entrambi non hanno mai smesso di pensare.
Ricostruiamo passo dopo passo la loro storia e scopriamo com'è cambiata la loro vita da allora, si mischiano in queste pagine i ricordi e le considerazione dei due, portandoli a fare un bilancio delle proprie vite e a trarne le conclusioni perché dopo ventisette anni quel giorno in cui si lasciarono li segnò nel bene e nel male, quella giornata a Londra, che ha posto fine alla loro storia post-adolescenziale di soli quattro mesi in modo quasi irreale, ha lasciato un'impronta così pesante nelle loro vite da determinarne gli sviluppi successivi.
Questo è un libro che parla di seconde opportunità, di rivincite, di perdono. E' la vita che ci ricorda i nostri conti in sospeso e le ferite ancora aperte, anche dopo tanti anni. Incontrarsi da giovani, quando niente sembra avere importanza, tutto è facilmente raggiungibile e sembra eterno, la normalità delle vite è una banalità e ritrovarsi maturi, con il dubbio che, forse, quella normalità poteva essere la felicità.
Mi è piaciuta la scrittura di Blondel e mi è piaciuto il libro, fluido, che disegna, scavando e scrutando, lo stato d'animo dei due protagonisti in maniera minuziosa e profonda, tanto da farci sentire in prima persona il peso delle loro angosce. L'idea di partire da un amore adolescenziale mettendo i due protagonisti invecchiati, loro malgrado confinati nella cabina di un treno, dopo tutto questo tempo e da qui partire per affrontare altri temi, quali i rapporti umani, il perdono, i limiti dei successi e delle sconfitte, è un'idea azzeccata e coinvolgente. In fondo chi non ha mai sognato di poter avere una seconda possibilità?
Lettura decisamente inutile, con nozioni che si possono trovare molto più dettagliatamente e facilmente sul web.La parte poi, che dovrebbe essere l'argomento centrale del libro, è banale, stringata, poco ricca di informazioni e di esempi grafici (rispetto ad altri libri); il tutto è stato allungato con parti davvero inutili (per chi desiderava solamente interpretare il linguaggio felino): psicologia delle persone che adottano un gatto, storia dei gatti, la pet teraphy e via discorrendo.Se cercate un libro davvero ben fatto sull'argomento potete decisamente virare rotta su [b:Cats for Dummies 824367 Cats for Dummies Gina Spadafori https://i.gr-assets.com/images/S/compressed.photo.goodreads.com/books/1355998350l/824367.SX50.jpg 810143], per esempio.
“Buona Apocalisse a tutti!” il cui titolo originale è “Good Omens”, (“Buoni presagi”) è un romanzo scritto a quattro mani da Terry Pratchett e Neil Gaiman del 1990 edito in Italia dalla Mondadori. Nel 2002 era stata pianificata anche una versione cinematografica con la regia di Terry Gilliam, ma il progetto sembra essere stato definitivamente accantonato.
Il libro è una commedia metafisica sull'avvento dell'Apocalisse e contiene elementi parodistici nonché innumerevoli riferimenti eruditi; la trama del libro: il Piano Divino si sta per realizzare, l'Apocalisse, l'Armageddon. Tuttavia, Crowley e Azraphel (un demone ed un angelo che, dopo tanto tempo sulla terra, si sono ben ambientati alla società umana) non sono particolarmente entusiasti della cosa. Decidono quindi di cercare l'Anticristo, per cercare di indirizzarlo con un'educazione bilanciata. Il problema nasce all'undicesimo compleanno del ragazzo, quando iniziano a sorgere i primi dubbi: è forse possibile che una clinica gestita da un gruppo di suore sataniste dedite al chiacchiericcio, possa aver confuso i bambini alla nascita?
Nel libro abbondano riferimenti a film e telefilm popolari, da Guerre stellari, a E.T. - L'Extraterrestre, a La signora in giallo, Dallas, La morte scorre sul fiume e altri. Uno dei personaggi è una ragazzina di nome Pippin Galadriel Moonchild, detta Pepper. Il primo è il nome di uno degli hobbit (maschio) del Signore degli Anelli (in italiano, Pipino), “Galadriel” è il nome di una signora degli Elfi, sempre nel Signore degli Anelli.
Il racconto è divertente, sarcastico, geniale, dissacrante in molte sue parti, ma gli autori non riescono a bilanciare queste caratteristiche per tutta la sua lunghezza e in alcune parti diventa dispersivo, il tono scende parecchio e a volte ci si annoia un poco nella lettura. E' sicuramente un buon romanzo e il suo punto di forza che non è la trama (in alcuni punti un po' scontata) sono decisamente i personaggi che lo abitano: Azraphael e Crowley sono meravigliosi, ma aggiungiamo i quattro motociclisti dell'Apocalisse, l'Esercito dei Cacciatori di Streghe, la stessa Agnes con le sue profezie.
Mi sembra una lettura tipicamente estiva, spensierata e divertente, da leggere per svagare i lunghi pomeriggi dell'estate e dunque che dire se non: “Buon Armageddon a tutti!”
Operazione grifone è un romanzo di Carlo Nordio, magistrato trevigiano dal 1977, che ha al suo attivo già tre saggi sul tema della giustizia ed ora si cimenta nel ruolo di romanziere per questo suo primo libro, che è un spy-thriller ambientato durante la seconda guerra mondiale.
La trama ricorda molto gli scrittori come Ken Follett (prima maniera) o Jack Higgins, scimmiottando molto romanzi quali: “La Notte dell'Aquila”, “La Cruna dell'Ago” o “Il Codice Rebecca”, arrivando però solo ad una discreta imitazione e nulla più: nell'autunno del 1944 e dopo il D-Day la guerra sembra essere in mano agli alleati, ma Hitler non vuole arrendersi e l'avanzata delle truppe in Francia ha subito una battuta di arresto; l'asso nella manica del Terzo Reich è un altro, un piano segreto concepito dallo stesso Hitler: Greif, l'Operazione Grifone. A capo del piano sarà il colonnello SS Otto Skorzeny, colui che ha liberato Mussolini sul Gran Sasso. Un manipolo di militari tedeschi, indossando uniformi americane, dovrà portare scompiglio dietro le linee alleate. Al comando degli infiltrati viene ordinato lo Sturmbannführer Helmut Kroller, cresciuto a New York, una mente veloce, un temperamento violento e una perfetta conoscenza della lingua inglese. Kroller sarà incaricato di portare a compimento un'azione decisiva, da cui dipenderà l'esito della guerra stessa: l'assassinio del generale Eisenhower.
Il libro è a tratti noioso e a tratti avvincente, ma i primi superano i secondi. I personaggi sono piuttosto stereotipati, non molto convincenti, come pure i dialoghi. La protagonista femminile è veramente poco convincente, sembra più una super eroina dei fumetti che un personaggio reale. Nel complesso, direi che è un romanzo che ha quasi nulla da dire se paragonato ai sopracitati “concorrenti” di scaffale. Niente a che vedere con quei romanzi che non ti stanchi di leggere finché non li hai terminati.
Diciamo che si va avanti nella lettura con una certa stanchezza e più che altro per la curiosità di vedere come va a finire, anche se poi non succede nulla di inaspettato, anzi il finale è peggiore della trama, doveva davvero essere studiato un po' meglio, il tutto finisce banalmente e troppo in fretta rispetto a tutta la preparazione precedente.
Una buona idea, su una vicenda misteriosa, curiosa e intrigante per gli eventuali sviluppi romanzeschi della seconda guerra mondiale, peccato che venga sviluppata abbastanza male e non riesce quasi mai a prendere il lettore.
Il settimo sigillo, di cui questo libro è la sceneggiatura originale, è un film svedese del 1957 diretto da Ingmar Bergman, trasposizione cinematografica della pièce teatrale Pittura su legno che lo stesso Bergman aveva scritto nel 1955 per la sua compagnia di attori teatrali.
In una Scandinavia dove imperversano peste e disperazione torna dalle crociate in Terra Santa il nobile cavaliere Antonius Block. Sulla spiaggia, al suo arrivo, trova ad attenderlo la Morte, che ha scelto quel momento per portarlo via. Il cavaliere decide di sfidarla a scacchi. La partita si svolge nel corso di vari incontri tra Block e la Morte.
Durante la partita, Antonius ed il suo scudiero Jons, attraversando la Scandinavia, incontrano molte persone, le quali, prese dalla paura della morte, si sottopongono a violente pratiche per l'espiazione dei propri peccati, ed altri che inseguono gli ultimi piaceri prima della fine. Alla fine la morte non vincerà la partita con il cavaliere ad armi pari sarà infatti Antonius che lascia la possibilità alla morte di modificare la disposizione dei pezzi sulla scacchiera, tutto ciò per lasciare la possibilità ad una famiglia incontrata durante il viaggio di poter scappare e così poter compiere prima di morire, l'unico atto che probabilmente sarà importante per lui.
I temi del libro e del film, sono molteplici: la morte e la paura di morire, il riscatto, lo scetticismo nei confronti della fede con un Dio lontano e nascosto, la morale comunque è sempre la stessa... che dalla morte non si può fuggire anche ingannandola un poco e tentando di guadagnare tempo, il momento arriva per tutti. Ma è anche una riflessione della bellezza delle piccole cose, come una semplice scodella di fragole con il latte appena munto.
I personaggi sono magistrali, il cavaliere pieno di dubbi religiosi e filosofici che gioca a scacchi con la morte è pura poesia tragica, il fido scudiero noncurante di tutto ciò che accade, come se prendesse in giro tutto e tutti è la sua giusta contrapposizione. I dialoghi forti e pregni di significato, Bergman riesce davvero a realizzare un pietra miliare nel mondo del cinema.
Da leggere il libro o da vedere il film, o entrambi, come più vi aggrada.